INTRODUZIONE
I principali atteggiamenti del pensiero moderno di fronte al problema dell'esistenza di Dio sono: il teismo, il fideismo, il materialismo, il panteismo, l'agnosticismo e il pensiero debole.
Pe il teismo Dio è un postulato della ragione e del cuore; per il fideismo, Dio, inaccessibile all'umana ragione, è oggetto della sola fede; per il panteismo Dio è immanente al mondo dal quale non si distingue; per l'agnosticismo il problema dell'esistenza di Dio è insolubile, sul quale la ragione non può fare piena luce; per il materialismo questo problema non si pone e non può essere posto; per il pensiero debole è impossibile la metafisica.
Contro queste affermazioni protesta il senso comune e l'autorità infallibile della Chiesa Cattolica. Dio esiste, quale Dio personale, perfettamente distinto dal mondo creato, assolutamente semplice, uno e immutabile. Come tale la ragione umana con le sue forze proprie arriva a conoscerlo.
E' davvero possibile conoscere Dio? Quale sarebbe la via da seguire per arrivare alla conoscibilità dell'Essere Supremo? Qual'è la certezza delle prove razionali adotte per provare la Sua esistenza?
C'è chi pretende conoscere Dio mediante un'intuizione naturale e immediata dell'essere divino. m aciò non può essere, poichè la visione immediata di Dio è il coronamento dell'ordine soprannaturale e non può essere in nessun modo oggetto proporzionato alle pure forze dell'intelletto crato, di per sè limitato alle cose finite.
Vi è chi vuole che l'esistenza di Dio sia una verità evidente, una verità che non ha bisogno di prove, come un principio (ad es. quello di contraddizione); o almeno una verità che si può provare senza ricorrere alle cose create, pensando alla sola nozione, al solo concetto di Dio, il quale viene considerato quale perfettissimo, che raccoglie in sè tutte le perfezioni possibili: anche quella dell'esistenza. Una tale posizione neppure può sostenersi, poichè non possiamo con la ragione attingere Dio com'è in sè stesso: la proposizione "Dio esiste", sebbene
in se stessa evidente, non è tale
per il nostro intelletto.
Dunque, seguendo San Tommaso d'Aquino, le creature saranno la sola via che ci porteranno al Creatore; le cose create ci serviranno di scala per giungere a Dio. Esse, parlandoci del loro Artefice, ci riveleranno la sua esistenza e i suoi attributi.
LE CREATURE E DIO
Contemplando l'universo la ragione vi scorge numerosi effetti che domandano una causa speciale, cioè una
causa propria. Causa propia è quella
necessariamente richiesta per avere un tale effetto; causa che per di più lo produce
immediatamente, "per sè primo", come dicono i filosofi. Ad esempio il fuoco che riscalda, il suono che colpisce l'udito, sono rispettivamente cause proprie del calore e dell'udito. Se effetti particolari e momentanei hanno per causa propria cause particolari e transitorie,
effetti universali e permanenti avranno cause proprie universali, permanenti e quindi trascendenti.Ecco un beve esempio. Questo animale, poniamo un gatto, è la causa propria della generazione di
quest'altro animale, il gatto, ma per nulla potrà spiegare l'esistenza della
vita animale nel creato; è quindi necessario ricorrere ad una causa più universale, tra le quali troviamo il sole che è sorgente del calore necessario alla vita animale, ma non esiste di per se steso. Lo stesso dicasi del moto, del colore, dell'odore.....Dagli effetti creati si deduce:
Se ciò che esiste, non ha in se stesso la ragione suprema della sua esistenza, deve averla in un altro Essere che esiste necessariamente di per se stesso. A questa causa propria, universale, permanente e trascendente si dà il nome di
Primo Principio.quanto si è detto per le creature sensibili vale a maggior ragione per le cose intellegibili e spirituali (l'essere, la verità, la bontà......). La loro natura non include nulla di materiale e di imperfetto; dobbiamo quindi ammettere, come causa propria dell'Ente, in quanto essere di ciascuna realtà creta, L'Essere increato e sussistente; e, per lo stesso motivo, la Verità Suprema, fondamento di ogni verità; la Suprema Bontà e il Primo Amore sorgenti di ogni desiderio di bene.
Con san Tommaso si può affermare che la prova dell'esistenza di Dio è una prova "a posteriori", vale a dire una prova che dagli effetti propri risale alla loro causa propria, necessaria ed immediata.
Non si tratta di risalire
nel passato la serie delle cause
accidentali o subordinate accidentalmente, ma di retrocedere,
nel presente, lungo la serie delle cause
essenzialmente subordinate.
Non si arriva a Dio risalendo, ad esempio, dalla gallina all'uovo, dall'uovo ad un'altra gallina e così via nel passato, poichè in tal senso si retrocederà all'infinito senza trovare la Prima Causa. Solo la via delle cause essenzialmente subordinate ci può condurre all'esistenza di un Primo Essere, di un Primo Bene, di una Prima Intelligenza, alla Causa Suprema dell'essere, del bene, del vero creati e limitati.
Il principio di causalità è la via che la ragione umana deve tenere per conoscere Dio.
IL VALORE DELLA PROVA
Per gli empiristi la nozione di causalità si riduce all'immagine comune di successione fenomenale invariabile, accompagnata dal nome di causa. L'obiezione dei positivisti però non tocca minimamente il valore del principio di causalita per almeno due motivi:
a) perchè contraria al senso comune
b) perchè conduce all'assurdo Se noi non sperimentiamo, come essi dicono, l'influsso di una cosa in un'altra, ma solo la successione invariabile dei fenomeni, siamo continuamente vittime dell'illusione e sbocchiamo nello scetticismo.
Inoltre la negazione del principio di causalità conduce l'intelligenza all'assurdo, e cioè ad ammettere che il più viene dal meno.
La vera formula del principio di causalità non è: "Ogni fenomeno suppone un fenomeno antecedente, e così via all'infinito nel passato"; ma:
"Tutto ciò che esiste non da se stesso esige una causa, in ultima analisi una causa non causata".In altri termini il principio di causalità non ha solo un valore fenomenico, ma un valore
ontologico e trascendente.LA PROVA PIU' GENERALE
Il principio della
prova più generale che meglio rappresenta l'essenziale procedimento del
senso comune quando si eleva a Dio , è il seguente:
"IL PIU' NON PUO' VENIRE DAL MENO"; tale principio ci esprime che il divenire non può derivare se non che dall'essere determinato; l'essere causato dall'essere non causato; il contingente dal necessario; l'imperfetto, il composto, il molteplice, dal perfetto, dal semplice, dall'uno; l'ordine dall'intelligenza.
SOLO IL SUPERIORE SPIEGA L'INFERIORE.FONDAMENTO DELLE PROVE: LA CAUSA PROPRIA
Le prove razionali dell'esistenza di Dio sono a poteriori; sono ricavate
dall'esperienza e tutte sono basate sul
principio di causalità. Quindi la nozione di
CAUSA PROPRIA costituisce il fondamento delle prove dell'esistenza di Dio.
1° La causa propria è quella che di per sè
(per se) ed immediatamente come tale
(primo) può produrre il tale effetto: quella da cui il tale effetto dipende
per se primo, necessariamente ed immediatamente, come una proprietà dipende dall'essenza da cui deriva. L'effetto proprio è come una proprietà ad extra.
2° La causa propria, in quanto necessariamente richiesta, differisce dalla causa accidentale.
3° la causa propria in quanto immediatamente richiesta, differisce da ogni altra, sia pure necessariamente richiesta.
4° Le cause più particolari sono causa propria degli effetti più particolari. Così
questo animale è causa propia della generazione di
questo vivente della stessa specie; ma non spiega l'esistenza della vita animalale sulla terra.
"Manifestum est autem quod, si aliqua duo sunt eiusdem speciei, unum non potest esse per se causa formae alterius, inquantum est talis forma, quia sic esset causa formae propriae, cum sit eadem ratio utriusque. Sed potest esse causa huiusmodi formae secundum quod est in materia, idest quod haec materia acquirat hanc formam." (S. Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 104, a. 1)
5° questo corpo in movimento può produrre quell'altro movimento; ma se il movimento in se stesso non ha in sè la sua ragione d'essere, bisogna che abbia come causa propria un primo motore superiore ad OGNI movimento, d'un ordine più elevato. (Crf. S. Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 45, a. 5)
6° Bisogna inoltre distinguere la causa propria del divenire dalla causa propria dell'essere stesso e della conservazione di questo effetto (Crf. San Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 104, a. 1). Secondo un esempio di Aristotele, l'architetto, è la causa propria della
costruzione della casa, ma egli non è causa propria dell'
essere di questa casa: difatti se egli muore, la casa non cessa per questo di esistere. Allo stesso modo il figlio sopravvive al padre. invece il calore solare è necessario sia alla generazione delle piante e degli animali che alla loro conservazione.
Quindi le
cause universali superiori sono non soltanto PRODUTTRICI, ma anche CONSERVATRICI dei loro effetti; la loro causalità è permanente e sempre in atto. Partendo da un fatto certo per esperienza e mediante un principio razionale necessario ed evidente si giunge a provare l'esistenza di Dio, causa propria universale degli universalissimi effetti dai quali si è partiti.
"Oportet enim universaliores effectus in universaliores et priores causas reducere". (San Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 45, a. 5)
DIO, ESSERE E VERITA'
Il punto di partenza della prova è questo fatto: nell'universo vi sono cose
più o meno BUONE,
più o meno VERE,
più o meno NOBILI. In altri termini: nell'universo la bontà, la verità, la nobiltà esistono in diversi gradi, dall'infimo minerale, che ha la sua resistenza, fino ai gradi superiore della vita intellettuale e morale.
I
gradi della BONTA' noi li sperimentiamo tutti i giorni:
un frutto è buono quando ci nutre,
una pietra è buona quando è solida,
un uomo è buono perchè vuole e fa il bene. Tuttavia nessuna pietra, nessun frutto, nessun uomo è
buonissimo: neanche un santo, per quianto grande, è l'ottimo poichè anch'egli è
limitato. E' dunque un fatto che la bontà è realizzata in diversi gradi.
Lo stesso della NOBILTA': il vegetale è più nobile del minerale, l'animale del vegetale, l'uomo dell'animale, un uomo può essere più nobile di cuore di un altro uomo, ma nessuno è
nobilissimo: l'uomo più nobile è anch'egli limitato e con le sue tentazioni, debolezze, imperfezioni.
Così anche il vero ha i suoi gradi, perchè ciò che è più ricco come essere, è più ricco anche come vero. Al di sopra dello spirito falso vi è lo spirito giusto, al di sopra dello spirito che conosce la sola scienza empirica, quello che si solleva alle scienze spirituali; ma nessuna scienza di nessun uomo è verissima.
Come si spiegano allora questi gradi di contà, nobiltà, verità? Sotto la scorta di Platone, di Aristotele e di S. Agostino, S. Tommaso spiega questo fatto dei diversi gradi col principio seguente:
"Il più e il meno perfetto si dicono di diversi esseri, secondo che si accostano più o meno all'essere che è la stessa perfezione". Qui San Tommaso vuole parlare di una perfezione
reale, perchè essa sola può essere causa dei diversi gradi di prfezione che noi
abbiamo sperimentato e che hanno bisogno di una causa.
Il principio invocato da San Tommaso vuol dire:
Quando una perfezione si trova in gradi diversi in diversi esseri, NESSUNO di quelli che la possiedono in un grado imperfetto (in tutti gli esseri sperimentati si trova tale imperfezione) BASTA A RENDERNE CONTO, bisogna dunque che essa abbia la sua causa in un essere superiore, che è questa perfezione stessa.
a) Se molteplici sono gli esseri ch ehanno un aperfezione limitata, in nessuno ha essa la sua ragione d'essere; bisogna che ciascuno l'abbia ricevuta da un principio superiore che sia quella Perfezione stessa (Bontà, Verità). In una parola:
il molteplice suppone l'uno.
b) Gli esseri che noi vediamo non hanno mai se non una perfezione
al suo CONTRARIO, mista ad imperfezione; la bontà di un uomo è mescolata a debolezza e a turbamenti, essa non è la Bontà, e se non lo è, l'ha ricevuta da una causa superiore. In una parola: l'essere imperfetto è COMPOSTO, e ogni composto esige una causa che unisca gli elementi che lo costituiscono. Il composto suppone il semplice.
A chiarimento aggiungo che una perfezione la quale per sè non comporta limite come la bontà, la verità, la bellezza, non è limitata di fatto se non da una capacità ristretta che la riceve; così la scienza è limitata in noi dalla nostra capcità ristretta di sapere. In noi dunque esiste solo in un stato imperfetto partecipata, quindi ricevuta dalla Perfezione stessa, senza limiti, che dà agli altri un riflesso di sè stessa. Così è della verità: al di sopra delle verità particolari e contingenti (che potrebbero non essere), vi sono le verità universali e necessarie. Quest'ultime dove hanno il loro fondamento? Non nelle realtà periture, non nelle intelligenze finite, ma nella Verità suprema, sempre conosciuta dall'Intelligenza prima, che, lungi dall'aver ricevuto la Verità, è la Verità, la Verità pura, senza mescolanza di ignoranza, senza alcun limite o imperfezione. Essa è l'Essere stesso, la Sapienza stessa, è Dio.
Concludendo: quando una perfezione, il cui concetto non implica imperfezione (come la verità, la bontà, la bellezza), si trova in gradi diversi in differenti esseri, nessuno di quei che la posseggono in un grado ancora imperfetto basta a renderne conto: esso vi partecipa soltanto e l'ha ricevuta nella misura della sua capacità e l'ha ricevuta da un essere superiore, che è la perfezione stessa.
DIO SOMMO BENE
La prova precedente ne contiene implicitamente un'altra e precisamente quella per cui la
beatitudine o vera felicità, che l'uomo desidera naturalmente, non si può trovare in nessun bene limitato e ristretto, ma solamente in Dio conosciuto almeno in modo naturale e amato sopra tutte le cose.
E' possibile sollevarsi al Bene supremo partendo sia dai beni imperfetti subordinati, sia dal desiderio naturale che questi beni non saturano.
a) E' impossibile che l'uomo trovi la vera felicità, solida e durevole, nei
beni che passano, beni limitati; perchè il nostro intelletto vedendo subito il LIMITE, concepisce un bene superiore, e naturalmente la volontà lo desidera. S. Agostino afferma ne "Le Confessioni":
"Irrequietum est cor nostrum, donec requiescat in te, Domine".Un beve esempio. Se siamo malati desideriamo la salute: appena guariti, vediamo che la salute non basta alla nostra felicità. Lo stesso avviene nei piaceri dei sensi che generano disillusione e disgusto; così delle ricchezze, degli onori; del potere; della gloria. anche se ci fosse dato di vedere un angelo, ben presto dovremmo concludere che anche egli non è che un bene finito e perciò poverissimo in confronto del Bene stesso, senza imperfezione e limite. Due beni finiti, per quanto disuguali, sono ugualmente distanti dall'Infinito: la pietra e l'angelo in questo senso sono ugualmente infimi. (Aspetto metafisico dell'argomento)
b) La prova diventa più viva se partiamo dal
nostro desiderio naturale di felicità che tutti sentiamon vivamente. (Aspetto psicologico/morale dell'argomento).
San Tommaso (Crf I-II, q. 2, a. 7 e 8), sotto la scorta di Aristotele e di S. Agostino, insiste che l'uomo
desidera naturalmente di essere felice, e siccome l'intelletto nostro conosce non solo un dato bene particolare ma il bene in generale
(universale in praedicando), il bene come tale, ne segue che l'uomo tendente non verso l'idea astratta del bene, ma verso in bene reale che è nelle cose, non può trovare la sua vera beatitudine in nessun bene finito o limitato, ma solo nel Sommo bene.
E' possibile che un desiderio NATURALE sia vano, senza senso o importanza? Il desiderio fondato sulla natura immediatamente, come il desiderio di felicità, non è una semplice chimera, ma è innato e si trova in tutti gli uomini di tutti i tempi o paese. E' la stessa natura della nostra volontà, la quale, è una facoltà appetitiva del bene nella sua universalità. Mentre il desiderio dell'erbivoro e del carnivoro è di trovare rispettivamente l'erba e la carne,
il desiderio naturale dell'uomo è di essere felice e la vera felicità non si trova di fatto e non si può trovare in alcun bene limitato.Inoltre abbiamo l'argomento metafisico fondato sulla certezza del valore assoluto del principio di finalità: se il desiderio della vera felicità fosse chimerico, tutta l'attività umana, ispirata da tale desiderio, sarebbe senza finalità, senza ragione d'essere; contraria al principio necessario ed evidente che
ogni agente agisce per un fine. Il quale principio si mostra anche dall'assurdo (Crf. S. Tommaso I-II, q. 1, a. 2). Se ogni agente naturale non agisse per un fine, non vi sarebbe, per esempio, nessuna ragione per l'occhio di vedere, invece di udire e di assaporare, ecc. Allora tutto diventerebbe senza ragione d'essere.
Il nostro desiderio naturale della felicità ha dunque una finalità: tende verso un bene. Questo bene non è solo un'idea della nostra mente, perchè, come disse aristotele, mentre il vero è formalmente nella mente che giudica, il bene è formalmente nelle cose. Quando noi desideriamo il cibo, non basta averne l'idea. il desiderio naturale della volontà tende, non verso l'idea del bene, ma verso un bene reale; altrimenti non è più un desiderio e soprattutto un desiderio naturale.
Allora, se questo desideroio naturale della felicità non può essere vano, e se non può trovare soddisfazione in nessun bene finito nè nella sommatoria di essi, bisogna
necessariamente dire che esiste un bene puro, senza mescolanza, il Bene stesso o il Sommo bene, solo capace di rispondere alla nostra aspirazione.
Il desiderio naturale della felicità esige che noi arriviamo ad una cognizione NATURALE di Dio, ad un amore naturale efficace di Dio. Ma l'uomo è stato assunto ad uno stato soprannaturale, per la grazia cristiana, cosicchè la nostra felicità suprera la esigenza della natura puramente umana e consisterà nella visione immediata di Dio, della sua essenza soprannaturale.
DIO FONDAMENTO DEL DOVERE
Altra prova dell'esistenza di Dio è quella che ha per punto di partenza, non il desiderio di felicità, ma l'obbligo morale e l'ordinamento della nostra volontà al bene morale, per giungere al Sommo Bene come avente il diritto di essere AMATO.
In ogni uomo c'è una coscienza che dice:
bisogna fare il bene ed evitare il male. Il bene è dilettevole, utile, onesto o morale. L'uomo solo conosce la distinzione dei tre generi di beni e il valore della loro gerarchia, cossichè arrivato all'età della ragione vede che sopra del bene sensibile, dilettevole ed utile, vi è anche il bene onesto o bene morale che è bene in sè, indipendentemente dai vantaggi o dai comodi che ne risultano.
E' questa una perfezione dell'uomo per cui il bene onesto appare come il fine necessario dell'attività umana e per conseguenza come OBBLIGATORIO. Ogni uomo capisce che un essere ragionevole DEVE avere un acondotta conforme alla retta ragione. Il giusto ucciso da un ladro prova l'esistenza di un mondo superiore quando esclama: tu sei il più forte, ma ciò non prova che tu abbia ragione.
Il fondamento prossimo di tale dovere è, come dimostra San Tommaso (I-II, q. 94, a. 2), il principio di finalità evidente per la nostra intelligenza, secondo il quale
ogni essere opera per un fine e deve tendere a quello che gli è proporzionato.
Da ciò segue che la volontà dell'essere ragionevole deve tendere verso il bene onesto o ragionevole, al quale è ordinata. La volontà umana
è per amare e volere il bene ragionevole; questo bene DEVE dunque essere realizzato da lei, da l'uomo che
lo può realizzare e che esiste
per realizzarlo.
Quale è il fondamento supremo dell'obbligo morale? Da dove viene la voce della coscienza che ordina e vieta?
Come l'ordine dell'universo presuppone un'intelligenza ordinatrice divina, tanto più la suppone l'ordinamento della nostra volontà al bene morale. Se il bene onesto al quale la nostra ragione è ordinata, deve essere voluto indipendentemente dalla soddisfazione o dai vantaggi che se ne ricavano, se la nostra coscienza promulga questo dovere, e poi approva o condanna, senza che noi riusciamo a soffocare il rimorso; se il diritto del bene a essere amato e praticato DOMINA la nostra attività morale e quella delle società attuali e possibili, bisogna che da tutta l'eternità vi sia stato di che fondare questi diritti assoluti del bene.
Questi diritti della giustizia ad essere praticata, che dominano la nostra vita individuale, domestica, sociale, politica e la vita internazionale dei popoli presenti, passati e futuri, non possono avere la loro ragione di essere nelle realtà contingenti e passeggere dominate da essi; neppure nei beni e doveri molteplici e subordinati. Questi diritti, superiori a tutto ciò che non è il Bene stesso, non possono avere che in lui il loro fondamento, la loro ragione ultima. Se dunque il fondamento prossimo dell'obbligo morale è l'ordine essenziale delle cose, il fondamento supremo è nel Bene Sommo, nostro fine ultimo obbiettivo. L'ordinamento passivo della nostra volontà al bene, suppone un ordinamento attivo di Colui che l'ha creato per il bene, perchè non c'è ordinamento passivo senza uno attivo.
Inoltre: che cos'è la voce della coscienza, del rimorso, se non un effetto di un obbligo morale, il quale sia causato da più in alto che la nostra ragione stessa? Da Dio, Legislatore supremo e Sommo Bene che fonda il dovere.
A questa prova si aggiungfa quella data dalla sanzione morale. La vita degli atti eroici non ricompensati quaggiàù e dei delitti non puniti, ci mostra la necessità d'un supremo Giudice rimuneratore e vendicatore: giacchè ogni altra sanzione umana temporale è insufficiente. Kant conservò la forza di questo argomento.
L'ingiustizia non può avere l'ultima parola; vi è una giustizia superiore, la cui voce si fa udire nella nostra coscienza e che un giorno deve rimettere tutto nell'ordine. Allora si manifesteranno i due aspetti del Sommo Bene, che ha diritto ad essere amato sopra ogni cosaa (diritto della Giustizia) e che è essenzialmente diffusivo di se stesso (principio della Misericordia).
LA NATURA DI DIO
Dopo aver stabilito che Dio esiste, bisogna dire
ciò che Egli è. Ma la Deità com'è in sè stessa resta
naturalmente inconoscibile. Infatti noi conosciamo naturalmente Dio solo nei suoi effetti che non hanno con Lui se non una difettosa e lontanissima somiglianza. Quando parliamo delle perfezioni di Dio, usiamo termini mutuati dagli attributi delle cose create, ma questi termini non possono essere
univoci, perchè mentre nelle creature esprimono perfezioni distinte, in Dio significano
un'unità semplice.I nomi delle perfezioni assolute che possono attribuirsi a Dio sono
analoghi, esprimono cioè delle cose
essenzialmente differenti, le quali però hanno tra di loro una
certa proporzione. (Crf. San Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 13, a. 5).
Ora se non è possibile conoscere naturalmente ciò che costituisce la Deità, com'è in se stessa, ci si può chiedere se fra le assolute perfezioni naturalmente conoscibili non ve ne sia qualcuna la quale, secondo il nostro imperfetto modo di conoscere, sia il principio radicale della distinzione di Dio dal mondo e la sorgente di tutti i divini attributi. Così una tale perfezione meriterebbe, dal punto di vista logico, il nome di
costitutivo formale dell'essenza divina; e sarebbe in Dio, ciò che è la razionalità nell'uomo, vale a dire il principio specifico che lo distingue da tutti gli altri esseri e da cui derivano le sue proprietà.
IL COSTITUTIVO FORMALE DELLA NATURA DIVINA, NON E' NE' LA LIBERA VOLONTA' NE' IL BENE
Il costitutivo formale dell'essenza divina non è la libera volontà. Anteriore alla libertà infatti c'è l'intelligenza, la quale delibera: La volontà segue l'intelletto (Crf. san Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 19, a. 1); la libertà quindi è derivata.
Dio non è neppure
causa sui: affermare ciò è contraddirsi perchè
per causare bisogna essere. Dio può essere solo
ratio sui, in quanto la sua essenza implica l'attuale esistenza: Dio è
a sè (aseo) ossia
da per sè, senza essere causa di se stesso.
Nemmeno il Bene è il costitutivo formale dell'essenza divina: l'essere ha una priorità logica sul bene. Il bene viene definito come l'essere giunto alla sua pienezza, alla sua perfezione, capace di attrarre l'appetito e il desiderio:
Bonum quod omnia appetunt. Il bene è l'essere in quanto è appetibile, quindi la nozione di bene è meno semplice, meno assoluta, meno universale della nozione di essere. Ma se l'essere, in se stesso e assolutamente preso (simpliciter) ha una priorità sul bene, però il bene portando in sè la ragione di causa finale, che è prima fra tutte le cause, ha da questo punto di vista (secundum quid) priorità sull'essere. In tal modo dunque Dio,
relativamente a noi, nei suoi rapporti di causalità con noi è anzitutto il buon Dio, lo stesso Bene. Ma considerando Dio
in se stesso e non poiù in relaqzione a noi, allora Egli è lo stesso Essere: essendo questo anteriore al Bene.
IL COSTITUTIVO FORMALE DELLA NATURA DIVINA E' L'ESSERE STESSO SUSSISTENTE
Per determinare ciò che è Dio, San Tommaso comincia dallo stabilire che Dio è puro spirito, poi che è lo stesso Essere.
Dio non può avere corpo, il quale essendo meno nobile dell'anima divina, sarebbe in Lui qualcosa di imperfetto e limitato. Dio è dunque spirito puro. Ma la nozione di spirito puro noi la concepiamo solo in forma negativa e relativa all'oggetto della nostra esperienza. Ma anche se conoscessimo positivamente ciò che costituisce il puro spirito non sapremmo ancora ciò che formalmente costituisce la natura di Dio, perchè lo spirito puro può essere creato, come lo è l'angelo, che pure dista dal Creatore d'un intervallo infinito.
Qual'è il vero nome di Dio? Egli stesso si è rivelato a Mosè prima, a Giovanni, ai suoi santi (come a S. Caterina da Siena).
"Io sono Colui che è" disse a Mosè.
"Io sono Colui che è, tu sei quella che non è a S. Caterina.
Dio è l'Essere stesso che sussiste, al vertice d'ogni cosa, oltre tutti i limiti imposti dallo spazio, dalla materia. Dio quindi si distingue radicalmente da ogni creatura. Questa dottrina si spiega per l'identità in Dio di essenza ed esistenza: il primo motore dev'essere la sua stessa attività (Crf. San Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 3, a. 4). Inoltre la causa prima deve avere in se stessa la ragione della propria esistenza, non può riceverla. L'essere necessario vuole come predicato essenziale l'esistenza. L'essere primo non può partecipare dell'esistenza, ma dev'essere l'Essere per essenza.
Così Dio, Colui che è, l'Essere stesso, si distingue da tutto ciò che esiste fuori di lui, da ciò che è per natura soltanto suscettibile di esistere. La composizione di essenza ed esistenza è il principio d'imperfgezione e della mutabilità delle creature; e suppone che la nozione di essere abbia un significato anologico, cioè multlipo. L'errore di ogni panteismo è considerare l'essere in generale come univoco (Crf. san Tommaso, In Metaph.; 1.1, c. V. lett. IX). Le due verità fondamentali della filosofia cristiana sono:
a) L'essere in generale è analogo
b) In Dio solo l'essenza e l'esistenza sono identicheL'ESSERE STESSO E' IL PRICIPIO DI TUTTI I DIVINI ATTRIBUTI
Dice San Tommaso (I, q. 4, a. 2):
"Secundo vero, ex hoc quod supra ostensum est, quod Deus est ipsum esse per se subsistens, ex quo oportet quod totam perfectionem essendi in se contineat Manifestum est enim quod, si aliquod calidum non habeat totam perfectionem calidi, hoc ideo est, quia calor non participatur secundum perfectam rationem, sed si calor esset per se subsistens, non posset ei aliquid deesse de virtute caloris. Unde, cum Deus sit ipsum esse subsistens, nihil de perfectione essendi potest ei deesse. Omnium autem perfectiones pertinent ad perfectionem essendi, secundum hoc enim aliqua perfecta sunt, quod aliquo modo esse habent. Unde sequitur quod nullius rei perfectio Deo desit".L'essere in generale, dominando le specie e i generi, ha come proprietà l'unità, la verità e la bontà; L'Essere stesso sussistente deve essere essenzialmente uno, semplice ed unico, deve essere la stessa Verità; è pure il sommo Bene. Dev'essere ancora infinito; necessariamente posto al di sopra dello spazio e del tempo; è assolutamente immutabile, eterno, immenso. Relativamente a noi è invisibile e incomprensibile, sebbene conoscibile naturalemente per analogia con le creature.
Considerandolo nelle sue operazioni, L'Essere sussistente, per definizione immateriale, è spirituale intelligibile in atto e intelligente; è al sommo dell'intelligenza.
Se
Colui che è è la stessa Intelligenza, bisogna con tutta evidenza, attribuirgli al vita nel suo supremo grado (Crf. San Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 18). Dall'intelligenza procede la volontà, Dio è libera volontà. Lo stesso Essere è onnipotente. Quale causa prima è onnipresente a tutto ciò che Egli conserva nell'essere. E' Provvidenza; è giusto, perchè intelligente e buono; è misericordioso, perchè onnipotente e buono; è sommamente felice; è la Bellezza; è la Santità.
Il complesso di questi attributi ci fa dire che Dio è personale, cioè sussistente indipendentemente dalla materia, su cui si fonda l'intelligenza, la coscienza di sè e la libertà.
LA PROVVIDENZA DIVINA
San Tommaso nella quinta via (I, q. 2, a. 3) ci offre la prova
a posteriori dell'esistenza di Dio come Provvidenza. Egli dice:
"Quinta via sumitur ex gubernatione rerum. Videmus enim quod aliqua quae cognitione carent, scilicet corpora naturalia, operantur propter finem, quod apparet ex hoc quod semper aut frequentius eodem modo operantur, ut consequantur id quod est optimum; unde patet quod non a casu, sed ex intentione perveniunt ad finem. Ea autem quae non habent cognitionem, non tendunt in finem nisi directa ab aliquo cognoscente et intelligente, sicut sagitta a sagittante. Ergo est aliquid intelligens, a quo omnes res naturales ordinantur ad finem, et hoc dicimus Deum." Abbiamo poi un'altra prova quasi
a priori della Provvidenza divina: parte dal concetto di Dio causa prima, già dimostrato a posteriori. Ascoltiamo ancora San Tommaso (I, q. 22, a. 1):
"Cum autem Deus sit causa rerum per suum intellectum, et sic cuiuslibet sui effectus oportet rationem in ipso praeexistere, ut ex superioribus patet; necesse est quod ratio ordinis rerum in finem in mente divina praeexistat. Ratio autem ordinandorum in finem, proprie providentia est."la Provvidenza è l'ordinamento dell'universo, la ragione dell'ordine delle cose. Corrisponde in Dio analogicamente a quello che è in noi la virtù della prudenza che ordina i mezzi in vista di un fine da ottenere, e che prevede a fine di provvedere. La prima ed importantissima proprietà della Provvidenza deve essere la sua assoluta universalità, che si deduce dall'assoluta universalità della causalità divina, la quale abbraccia tutti gli esseri, corruttibili ed incorrutibili, nella loro generalità e nella loro individualità. Il piano provvidenziale fino nei suoi minimi particolari fu immediatamente fissato da Dio, al quale nulla deve sfuggire. Dio è causa di tutto ciò che vi è di reale e di buono in tutte le creature e in ciascuna delle loro azioni. E' causa di tutto ad eccezione del male: disordine e privazione.
Altra proprietà della Provvidenza è quella di tutelare la libertà dei nostri atti, perchè si estende a tutti, e non solo tutela ma pure attua la nostra libertà, benchè Dio raggiunge perfino il modo libero dei nostri atti, che esso produce con noi ed in noi:
"ita (Deus) movendo causas voluntarias, non aufert quin actiones earum sint voluntariae, sed potius hoc in eis facit" (San Tommaso, Summa Theologiae, I, q. 83, a. 1, ad 3um).
Dio stesso dona questa libertà: vuole che noi siamo liberi. Benchè la Provvidenza si estende immediatamente a tutto ciò che vi è di reale e di buono, quando si tratta dell'esecuzione del piano provvidenziale, Dio governa le creature inferiori per le superiori, non per impotenza da parte sua, ma perchè egli volle comunicare la dignità della causalità.
IL MISTERO DI DIO
Abbiamo visto che noi non possiamo quaggiù conoscere l'essenza divina tale quale essa è in sè; noi non conosciamo Dio se non per il riflesso delle sue perfezioni nello specchio delle cose create: e queste cose, inferiori a Lui, non ci permettono di conoscerlo tale quale è in se stesso. Noi non possiamo farci un concetto proprio e positivo della natura divina; siamo costretti a compilare le une dopo le altre queste perfezioni, aggiungendo che esse si identificano in una semplicità eminente, nell'unità superiore della Deità.
INVISIBILITA', INCOMPRENSIBILITA', CONOSCIBILITA' DI DIO
Rispetto alla nostra conoscenza naturale, sensibile o intellettuale, l'Essere divino resta invisibile perchè troppo luminoso in se stesso.
"Respondeo dicendum quod, cum unumquodque sit cognoscibile secundum quod est in actu, Deus, qui est actus purus absque omni permixtione potentiae, quantum in se est, maxime cognoscibilis est. Sed quod est maxime cognoscibile in se, alicui intellectui cognoscibile non est, propter excessum intelligibilis supra intellectum, sicut sol, qui est maxime visibilis, videri non potest a vespertilione, propter excessum luminis." (San Tommaso I, q. 12, a. 1). Dio puro spirito non può essere visto dagli occhi del corpo, che percepiscono solo il sensibile. Dio non può essere visto nemmeno da un intelletto creato, abbandonato alle sue forze naturali; perchè l'oggetto proporzionato di un intelletto creato è l'essere creato, anzi dell'intelletto umano, è ciò che v'ha d'intellegibile nelle cose sensibili; solo dunque nello specchio delle cose sensibili possiamo naturalmente conoscere Dio.
Non ripugna però che Dio, mediante un dono gratuito, fortifichi e sollevi il noistro intelletto fino al punto da metterci a parte della visione immediata che Egli ha di se stesso, perchè, se l'essenza divina difatti eccede l'oggetto proprio del nostro intelletto, non ne eccede però l'oggetto adeguato, che è l'essere in tutta la sua ampiezza.
"Ad secundum dicendum quod non propter hoc Deus incomprehensibilis dicitur, quasi aliquid eius sit quod non videatur, sed quia non ita perfecte videtur, sicut visibilis est. Sicut cum aliqua demonstrabilis propositio per aliquam probabilem rationem cognoscitur, non est aliquid eius quod non cognoscatur, nec subiectum, nec praedicatum, nec compositio, sed tota non ita perfecte cognoscitur, sicut cognoscibilis est. Unde Augustinus, definiendo comprehensionem, dicit quod totum comprehenditur videndo, quod ita videtur, ut nihil eius lateat videntem; aut cuius fines circumspici possunt, tunc enim fines alicuius circumspiciuntur, quando ad finem in modo cognoscendi illam rem pervenitur." (San Tommaso, I, q. 12, a. 7 ad 2um). Solo Dio comprende se stesso, quindi l'essenza divina resta incomprensibile anche agli eletti elevati alla visione beatifica. Essi la vedono immediatamente senza bisogno di intermediari ma la loro visione non potrebbe essere comprensibile, nel senso assoluto della parola. Le intelligenze create, soprannaturalmente elevate alla visione beatifica, non possono conoscere l'infinito se non in una maniera finita, più o meno perfetta, secondo l'intensità del lume soprannaturale che ricevono. esse vedono immediatamente tutta l'essenza divina ma senza penetrarla totalmente nè vederla con l'infinita perfezione che solo appartiene a Dio; non ne esauriscono la conoscibilità infinita, nè afferrano l'innumerevole moltitudine dei possibili ch'essa virtualmente contiene.
Per quanto invisibile ed incomprensibile per noi la natura divina, essa è conoscibile attraverso l'esercizio naturale della ragione: quaggiù il nostro modo di conoscere è, come abbiamo visto, soltanto analogico e negativo o relativo all'oggetto dell'esperienza.