Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

La preziosità dei sacri ornamenti

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TotusTuus
view post Posted on 15/3/2013, 21:54     +1   -1




L’uomo è composto di anima e di corpo dunque si deve a Dio l’omaggio dell’una e dell’altro. L’anima onore Dio col culto interno, e il corpo l’onora alla sua foggia col culto esteriore. Anzi di più: il culto esterno ci è necessario per sostenere il culto interiore, perché ciò che non colpisce i nostri sensi non fa sopra di noi un’impressione viva e durevole. Una Religione ridotta al puro spirituale sarebbe ben presto relegata nel mondo della luna. Quindi è, che le chiese, che sono quei luoghi consacrati per onorar Dio, debbono essere decorate convenientemente; è mestieri che vi sia un certo lusso, una certa pompa, conciossiaché è necessario dare agli uomini un’alta idea della Maestà Divina. Se il popolo non trova nella Religione almeno la stessa grandiosità che vede nelle cerimonie civili, se non vede porgere a Dio omaggi pomposi almeno quanto quelli che si porgono alle potenze della terra, quale idea potrà egli formarsi della grandezza del Padrone che egli adora? Non è già Dio che abbisogni di quell’esteriore magnificenza; ma siamo noi che ne abbiamo immenso bisogno per sollevarci a lui. Noi abbiamo bisogno di offrire a Dio il nostro oro, le nostre sostanze, i capi d’opera delle arti, perciocché appunto da lui ne derivano l’oro, le sostanze, i talenti.
E così è a dirsi della preziosità dei sacri paramenti per la celebrazione degli augusti misteri e di altre funzioni. Senza dubbio indumenti intessuti in oro e rilevati con ricami non aggiungono alcunché al valore del Sacrifizio; ma non è dovere dell’uomo rendere a Dio più onore che può, e il far servire alla maestà del suo culto quel che vi ha di più bello e di più ricco sulla terra? I ministri dei Re non compariscono mai alla loro presenza negli ufficiali ricevimenti, senza essere vestiti d’abiti competenti e fregiati delle insegne del potere loro delegato, la Chiesa vuole che i Sacerdoti e Ministri di Gesù Cristo agiscano egualmente per ispirare ai suoi figli e maggiore pietà e maggior rispetto; ella chiede che gli ornamenti dei suoi chierici siano non solo decenti e propri, ma sempre in rapporto per la loro ricchezza con la condizione e la possibilità dei fedeli.
Che se preziosi si desiderano i paramenti nell’esercizio del culto, anche i fedeli debbono assistere ai Divini uffizi in chiesa vestiti più decentemente loro sia fattibile. Questo apparato esteriore, questo indossare abiti da festa dinota e fa nascere le disposizioni interiori, con le quali vi si deve andare, ricorda la purità di un’anima che vi si deve portare, e risveglia il sentimento del rispetto e d’una santa gioia.
Ognuno però comprende, che non si possono tollerare le vanità, certe artifiziate o stravaganti acconciature del capo, certe vesti sfarzose o poco modeste, certe mode capricciose. Si vuole la pulitezza, la semplicità, e quell’abbigliamento che si costuma dalle persone veramente e solidamente cristiane di quella condizione, di quell’età, e di quel paese in cui viviamo. Per osservare il comando dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e per non essere a sè stesse ed agli altri pietra d’inciampo, le donne debbono vestire e velarsi il capo come richiede la modestia, adorne di pudicizia e di castità. Quanto più ciò da essoloro si esige per distinguere il luogo sacro dal profano! Non bisogna illudersi: altro è indossare le robe da festa secondo l’onestà e in una maniera ordinata, altro è lo sfoggio e la vana ostentazione, che genera l’insuperbirsi della carne, è incentivo e fomento di divagazione e di peccato, non dà mai quiete a pensieri e a discorsi e a fatiche per cercare nuove fogge d’ornarsi. Altro è dire che nelle feste si vestano abiti convenevoli a pubblica dimostrazione di rispetto a Dio; altro è fa pompa di sé e pavoneggiarsi con diminuzione dell’onor divino e colla profanazione del luogo santo. L’uomo, anche di mezzo all’allegrezza dei giorni del Signore, non deve dimenticare che egli è un passeggero colpevole sulla terra, bisognoso di espiare le proprie colpe con umiliarsi, gemere e piangere.

Tratto da: Il libro di pietà
 
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