Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

Ormai le chiamano chiese-garage

« Older   Newer »
  Share  
Dominicus OP
view post Posted on 18/2/2012, 22:39     +1   -1




Parla Timothy Verdon

di Antonio Giuliano
18-02-2012

interno
Ormai le chiamano chiese-garage. Scatoloni di cemento dalle forme bizzarre più simili a saloni polifunzionali che a luoghi di culto. La strada sembra segnata: parallelepipedi improbabili, cubi di vetro, arredamenti interni strambi. E pensare che spesso c’è la firma di architetti di grido. Una deriva che sembra caratterizzare le moderne chiese contemporanee e che ora preoccupa anche il Vaticano, visto che da mesi la Congregazione per il culto sta valutando l’ipotesi di una commissione ad hoc.

Timothy Verdon
, critico statunitense e autorevole specialista di storia dell’arte, nonchè direttore a Firenze dell'Ufficio diocesano per la catechesi attraverso l'arte, non è certamente tipo da sottrarsi a un giudizio appassionato, ma schietto.

Che le chiese contemporanee siano brutte è solo un luogo comune?

È una generalizzazione, purtroppo sovente giustificata dai fatti. Ricordiamo che la “bellezza” non è più riconosciuta come il valore estetico dominante—oggi la cultura va alla ricerca anche della bruttezza, dello spettacolare, dell’inconsueto, ecc. Perfino il banale, come categoria, rivendica una sua “dignità”. È tuttavia peccato che proprio la Chiesa Cattolica, depositaria storica non di “una tradizione di bellezza” ma della tradizione del bello occidentale – la Chiesa, la cui architettura e arte per secoli hanno orientato l’evoluzione stilistica di tutte gli altri ambiti d’arte – non sappia difendere meglio il senso antico del bello come ideale contesto del culto.

Un tempo alla costruzione delle chiese lavoravano artigiani, scalpellini, ecc. Le pareti erano affrescate da racconti biblici e i cantieri erano infiniti. Oggi sembra dominare un minimalismo tale che alla fine mancano i segni essenziali: come la croce, i campanili, gli altari (spesso nascosti) e addirittura i tabernacoli.
L’odierno minimalismo praticamente aniconico deriva da molte cause. Gli odierni studi biblici inibiscono un’arte figurativa di tipo narrativo, come si usava in passato: chi oggi commenta l’Annunciazione ormai non dice “l’Angelo disse a Maria…” ma piuttosto. “L’evangelista ci dice che l’Angelo disse a Maria…”. A quel punto l’artista non si sente autorizzato semplicemente a raffigurare una stanza, un angelo, una giovane donna, ecc. È un problema reale, ma non possiamo tornare al vecchio modo di leggere le Scritture. L’alternativa sarebbe un’arte più astratta, o con elementi di astrattismo decifrabili, come nelle opere di Filippo Rossi. Questo però spaventa il tipico committente ecclesiastico. La soluzione più “politicamente corretta” allora finisce per essere, al parere di molti, la parete bianca—come se invece di essere Cattolici con 2000 anni di racconti popolati di Cristo, Maria e tanti santi, fossimo protestanti ostili alle figure nelle chiese.

Si parla da tempo di una commissione contro “le chiese garage” presso la Congregazione del culto divino che valuti i progetti senza senso del sacro. Le sembra un’iniziativa credibile?
Ho partecipato, in qualità di “peritus” (esperto) a ben due sinodi della Chiesa Universale in Vaticano, e posso attestare quanto sia difficile articolare delle formulazioni credibili e potenzialmente applicabili all’enorme varietà delle situazioni storiche e pastorali di cui la Santa Sede si deve occupare. Quindi valuto come arduo il compito di un’eventuale commissione pontificia del tipo qui descritto. Più che una “commissione contro” ci vorrebbero documenti “per”-nello spirito cioè dei ripetuti appelli di Benedetto XVI a favore della sensibilità evocata col termine ars celebrandi. Le indicazioni del Papa, è vero, vengono spesso disattese, e questo perché alcuni cattolici ormai vorrebbero fare a meno di Roma: un problema grave nella Chiesa di oggi. Per altri invece, sembra chiaro che le indicazioni date sopra la firma papale in realtà sono frutto del lavoro di altri, di comitati e commissioni, e in più che conservano il carattere discorsivo, quasi interlocutorio, di tale origine. Cioè non sono indicazioni dettagliate ma orientamenti generali suscettibili di interpretazioni assai varie.

La Chiesa valuta negativamente l’arte contemporanea?
Al livello universale no: basti guardare l’elenco degli invitati all’incontro con Benedetto XVI organizzato dal Cardinal Ravasi nel 2009 per cogliere la straordinaria apertura al contemporaneo. Al livello locale la situazione è spesso diversa però, come emerge ogni volta che un vescovo ha il gusto e il coraggio di chiamare qualche importante artista contemporaneo: c’è subito polemica. Nel caso della CEI, è celebre la reazione praticamente “nazionale” di accorata protesta qualche anno fa al corredo illustrativo del nuovo Lezionario. Purtroppo né preti (e di conseguenza neanche vescovi) né laici cattolici ricevono dalla Chiesa un’adeguata formazione in questo campo, che un tempo si poteva lasciare serenamente alla secolare tradizione (che provvedeva le soluzioni da sempre), ma che oggi andrebbe invece insegnato, studiato, discusso.

Spesso anche i recuperi delle cattedrali sono arbitrari. Cosa ne pensa della diatriba a Firenze se completare o meno la facciata di San Lorenzo progettata da Michelangelo?
La “scienza” o, meglio, “arte” del recupero di un progetto antico che deve servire le esigenze della Chiesa contemporanea rimane molto difficile. Il rispetto filologico per le intenzioni originali non sempre combacia con le necessità del presente. In ogni caso, per quanto spetta alla Chiesa stessa di decidere, è utile ricordare che le chiese non sono manuali di storia dell’arte bensì luoghi di vita, e che la vita è in continua trasformazione. L’esempio fulgido è la Sagrada Familia del Gaudì, nata come chiesa neo-gotica e evoluta con lui e con i suoi successori al passo dei tempi. Per San Lorenzo a Firenze poi, è vero che abbiamo il progetto architettonico di Michelangelo per la facciata, mai realizzata. Ma il progetto michelangiolesco era concepito come supporto per molte opere di scultura – statue e rilievi – per cui non abbiamo le idee dell’artista. Realizzare oggi la sola parte architettonica significherebbe dar voce a una “verità parziale”, le verità parziali, come tutti sanno, finiscono per essere delle falsità.

Nel suo ultimo illuminante libro Bellezza e vita. La spiritualità nell'arte contemporanea (San Paolo, pp. 168, euro 24) lei cita come esemplare la Chiesa di Orleans (USA). Ci sono altre chiese contemporanee meritevoli nel mondo?

Il volume raccoglie gli atti di una giornata di studi promossa dalla comunità monastica protestante che ha realizzato la bella Chiesa d’Orleans, Massachusetts (USA), con l’enfasi su quest’edificio, il quale però è veramente interessante per la capacità dell’architetto e degli artisti chiamati dalla comunità a fondere elementi della secolare tradizione con elementi assolutamente contemporanei, in lontana analogia, appunto, con ciò che Gaudì ha fatto alla Sagrada Familia. Ma non è l’unica soluzione. A chi volesse approfondire il tema consiglio il magnifico volume di Andrea Longhi, pubblicato dal Sole 24 ore Business Media srl, Luoghi di culto. Architetture 1997-2007 (Motta Architettura, Milano 2008).

Oggi la Chiesa si affida sempre più agli architetti famosi, le archistar. Come nel caso del Santuario di padre Pio a san Giovanni Rotondo progettato da Renzo Piano.
Piano, un vero grande del nostro tempo, a San Giovanni Rotondo ha realizzato il più bel aeroporto d’Italia. Se i frati proprio non potevano trovare un architetto disposto a fare un santuario, dovevano quanto meno lavorare di più con l’archistar. Hanno provato, mediante mons. Crispino Valenziano, ma troppo tardi, quando Piano aveva già formulato la sua idea. Il compito della Chiesa oggi non è quello di cercarsi grandi architetti nel mondo esterno, bensì di formare al suo proprio interno una nuova generazione di artisti capaci di capire e di assecondare i suoi messaggi.
 
Top
0 replies since 18/2/2012, 22:39   168 views
  Share