«(…) Non c’è da stupire se, ad es., ad un suo ammiratore (di Marx, ndr), il Werner Sombart, la lettura dell’epistolario tra Marx ed Engels abbia spento in un istante tutti gli entusiasmi e lo abbia indotto a concludere che, dinnanzi a Marx, “non si può non essere presi da un senso di orrore”, anche perché Marx possedeva un buon fiuto solo per tutte le debolezze ed i lati cattivi della vita umana. Il suo carattere spesso insopportabile; le sue volgarità plateali; le misure craniometriche applicate alla testa degli amici; le gozzoviglie nelle taverne di Londra; l’incapacità di lui – che pur voleva donare un’economia nuova al mondo intero – a risolvere il piccolo problema dell’economia familiare, o, meglio, il metodo a lui caro di trovarne la soluzione diventando, per dirla con Alessandro Luzio, “l’eterno succhione”; il suo cuore da bruto dinnanzi alla morte della madre; il glorificatore delle stragi della
Commune; il freddo scrutatore dei fenomeni sociali, che, a differenza di quanto si fa bere oggi alle credule masse, non ebbe mai un palpito di pietà per i sofferenti, ed anzi insultava come “asineria” l’atteggiamento di chiunque, come Louis Blanc o Mazzini, piangesse le miserie dell’operaio ed insorgesse in nome della giustizia, dell’amore, dell’ideale; l’adoratore del corso storico, che anche gli errori dell’egoismo brutale non attribuiva “alla buona o cattiva volontà del singolo capitalista”, ma alla “fatalità che presiede ai fenomeni della natura” ed alla necessità di un ordinamento economico, grado indispensabile di uno svolgimento inesorabile; la superficialità spirituale di chi attende la più profonda delle rivoluzioni solo da un mutamento delle condizioni esterne, senza capire che esse non bastano a spezzare le catene degli animi; il maestro curioso, il quale anche oggi costringe i suoi discepoli che lo glorificano a parlare alle folle di “diritto”, di “giustizia” conculcati, ossia ad insegnare proprio tutto il contrario di ciò che egli ha sostenuto in nome della sua concezione materialistica della storia; l’utopista, che annuncia una società senza passionalità e senza egoismi e se la vuol preparare con la propaganda dell’odio; il veggente, che sopra dieci profezie ne ha sbagliato undici e che in fatto di previsioni economiche ne ha azzeccata solo qualcuna per sbaglio: tutto questo vi spiega il giudizio or ora ricordato dello storico del capitalismo e del socialismo, ed il senso di compassione e di ribrezzo che ogni persona onesta prova anche oggi davanti a chi vorrebbe sostituire al Dio del Calvario l’idolo di Treviri.
Nelle prime edizioni di questo volume, mentre gli sfruttatori dell’ignoranza delle masse, col loro anticlericalismo citrullesco (scimiottatore, tra l’altro, della grassa borghesia del passato) muovevano guerra ai Crocifissi ed alla fede, disprezzando il Vangelo in nome del
Capitale (che essi si guardavano bene dal leggere e che, se anche avessero letto, non sartebbero riusciti a capire), io, sorridendo, rammentavo l’episodio della visita a Bologna di Ernesto Renan. Lo accompagnava Enrico Panzacchi; e per invito del suo cicerone, Renan montò, non senza fatica, piccolo e grasso com’era, lo zoccolo di una colonnetta marmorea in Santo Stefano, ov’è segnata “la statua di nostro Signore”. Il Panzacchi dal basso con tono solenne gli gridò:
“Signor Renan, Gesù Cristo era molto più alto di voi!”. L’autore della
Vie de Jésus sorrise, accennando di sì col grosso capo. Ed anch’io mi divertivo a porre la figura di Carlo Marx sullo zoccolo di quell’antica colonna; e senza esitazione gridavo:
“Signor Carlo Marx, voi siete più piccolo, infinitamente più piccolo di Gesù Cristo!”.Sempre, del resto, ogni volta che si sente cianciare di alleanza tra marxismo e Cristianesimo, tra il materialismo storico ed il soprannaturale, tra il primato dell’economia ed il primato dello spirito, tra le tesi che la religione è “l’oppio del popolo” od “un prodotto sociale” destinato a scomparire col mutare della produzione materiale ed una visione teocentrica del mondo e della vita, si è tentati di chiedersi – tanto per disturbare ancora Renan – se quest’ultimo non avesse per caso ragione quando asseriva che l’unica cosa che può darci con chiarezza e precisione l’idea dell’infinito, è l’imbecillità umana. (…)»
Mons. Francesco Olgiati
Mons. Francesco Olgiati,
Carlo Marx, Vita e Pensiero, Milano 1964
6, pp. 482-484.
