Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

Istruzione "Universae Ecclesiae", Sull'applicazione del Motu Proprio "Summorum Pontificum"

« Older   Newer »
  Share  
TotusTuus
view post Posted on 13/5/2011, 12:59     +1   -1




ISTRUZIONE DELLA PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI SULL’APPLICAZIONE DELLA LETTERA APOSTOLICA MOTU PROPRIO DATA SUMMORUM PONTIFICUM DI S.S. BENEDETTO PP. XVI , 13.05.2011

***

NOTA REDAZIONALE SULL’ISTRUZIONE UNIVERSAE ECCLESIAE



La Pontificia Commissione Ecclesia Dei rende nota l’Istruzione sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data Summorum Pontificum di S.S. Benedetto XVI.

Con il Motu Proprio Summorum Pontificum, emanato il 7 luglio 2007 ed entrato in vigore il 14 settembre di quello stesso anno (AAS 99 [2007] 777-781), il Santo Padre ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di regolamentazione dell’uso della Liturgia Romana in vigore nell’anno 1962, illustrando autorevolmente le ragioni della sua decisione nella Lettera ai Vescovi che accompagnava la pubblicazione del Motu Proprio sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970 (AAS 99 [2007] 795-799).

Nella suddetta Lettera il Santo Padre ha chiesto ai Confratelli nell’Episcopato di far pervenire alla Santa Sede un rapporto a tre anni dall’entrata in vigore del Motu Proprio (cfr cpv. 11). Tenendo conto delle osservazioni dei Pastori della Chiesa di tutto il mondo, e avendo raccolto domande di chiarificazione e richieste di indicazioni specifiche, viene ora pubblicata la seguente Istruzione dall’incipit latino: Universae Ecclesiae. L’Istruzione è stata approvata dallo stesso Pontefice nell’Udienza concessa al Cardinale Presidente l’8 aprile 2011, e porta la data del 30 aprile 2011, memoria liturgica di San Pio V, Papa.

Nel testo dell’Istruzione, dopo alcune osservazioni introduttive e di tipo storico (Parte I, nn. 1-8), si esplicitano innanzitutto i compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei (Parte II, nn. 9-11), stabilendo in seguito, in ottemperanza al Motu Proprio pontificio, alcune specifiche norme e disposizioni (Parte III, nn. 12-35), prima di tutto quelle relative alla competenza propria del Vescovo diocesano (nn. 13-14). Si illustrano poi i diritti e i doveri dei fedeli che compongono un coetus fidelium interessato (nn. 15-19), nonché del sacerdote ritenuto idoneo a celebrare la forma extraordinaria del Rito Romano (sacerdos idoneus, nn. 20-23). Si regolano alcune questioni pertinenti alla disciplina liturgica ed ecclesiastica (nn. 24-28), specificando in particolare le norme relative alla celebrazione della Cresima e dell’Ordine sacro (nn. 29-31), all’uso del Breviarium Romanum (n. 32), dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi (n. 34), del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum (n. 35), che erano in vigore nell’anno 1962, nonché alla celebrazione del Triduo sacro (n. 33).

È viva speranza della Pontificia Commissione Ecclesia Dei che l’osservanza delle norme e disposizioni dell’Istruzione, che regolano l’Usus Antiquior del Rito Romano e sono affidate alla carità pastorale e alla prudente vigilanza dei Pastori della Chiesa, contribuirà, quale stimolo e guida, alla riconciliazione e all’unità, come auspicate dal Santo Padre (cfr Lettera ai Vescovi del 7 luglio 2007, cpvv. 7-8).

***

PONTIFICIA COMMISSIONE ECCLESIA DEI

ISTRUZIONE
sull’applicazione della Lettera Apostolica
Motu Proprio data Summorum Pontificum di
S.S. BENEDETTO PP. XVI


I.
Introduzione



1. La Lettera Apostolica, Summorum Pontificum Motu Proprio data, del Sommo Pontefice Benedetto XVI del 7 luglio 2007, entrata in vigore il 14 settembre 2007, ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della Liturgia Romana.

2. Con tale Motu Proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa con l’intento di dare una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962.

3. Il Santo Padre, dopo aver richiamato la sollecitudine dei Sommi Pontefici nella cura per la Sacra Liturgia e nella ricognizione dei libri liturgici, riafferma il principio tradizionale, riconosciuto da tempo immemorabile e necessario da mantenere per l’avvenire, secondo il quale "ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede"1.

4. Il Sommo Pontefice ricorda inoltre i Pontefici Romani che, in modo particolare, si sono impegnati in questo compito, specificamente San Gregorio Magno e San Pio V. Il Papa sottolinea altresì che, tra i sacri libri liturgici, particolare risalto nella storia ha avuto il Missale Romanum, che ha ricevuto nuovi aggiornamenti lungo il corso dei tempi fino al Beato Papa Giovanni XXIII. Successivamente, in seguito alla riforma liturgica posteriore al Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI nel 1970 approvò per la Chiesa di rito latino un nuovo Messale, poi tradotto in diverse lingue. Papa Giovanni Paolo II nell’anno 2000 ne promulgò una terza edizione.

5. Diversi fedeli, formati allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio Vaticano II, hanno espresso il vivo desiderio di conservare la tradizione antica. Per questo motivo, Papa Giovanni Paolo II con lo speciale Indulto Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, concesse a determinate condizioni la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII. Inoltre, Papa Giovanni Paolo II, con il Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988, esortò i Vescovi perché fossero generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedevano. Nella medesima linea si pone Papa Benedetto XVI con il Motu Proprio Summorum Pontificum, nel quale vengono indicati alcuni criteri essenziali per l’Usus Antiquior del Rito Romano, che qui è opportuno ricordare.

6. I testi del Messale Romano di Papa Paolo VI e di quello risalente all’ultima edizione di Papa Giovanni XXIII, sono due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell’unico Rito Romano, che si pongono l’uno accanto all’altro. L’una e l’altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore.

7. Il Motu Proprio Summorum Pontificum è accompagnato da una Lettera del Santo Padre ai Vescovi, con la stessa data del Motu Proprio (7 luglio 2007). Con essa vengono offerte ulteriori delucidazioni sull’opportunità e sulla necessità del Motu Proprio stesso; si trattava, cioè, di colmare una lacuna, dando una nuova normativa all’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962. Tale normativa si imponeva particolarmente per il fatto che, al momento dell’introduzione del nuovo Messale, non era sembrato necessario emanare disposizioni che regolassero l’uso della Liturgia vigente nel 1962. In ragione dell’aumento di quanti richiedono di poter usare la forma extraordinaria, si è reso necessario dare alcune norme in materia.

Tra l’altro Papa Benedetto XVI afferma: "Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso"2.

8. Il Motu Proprio Summorum Pontificum costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa3 e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale4.

Esso si propone l’obiettivo di:

a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare;

b) garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari;

c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa.

II.
Compiti della Pontificia Commissione Ecclesia Dei



9. Il Sommo Pontefice ha conferito alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 12).

10. § 1. La Pontificia Commissione esercita tale potestà, oltre che attraverso le facoltà precedentemente concesse dal Papa Giovanni Paolo II e confermate da Papa Benedetto XVI (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, artt. 11-12), anche attraverso il potere di decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio.

§ 2. I decreti con i quali la Pontificia Commissione decide i ricorsi, potranno essere impugnati ad normam iuris presso il Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.

11. Spetta alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, previa approvazione da parte della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il compito di curare l’eventuale edizione dei testi liturgici relativi alla forma extraordinaria del Rito Romano.

III.
Norme specifiche



12. Questa Pontificia Commissione, in forza dell’autorità che le è stata attribuita e delle facoltà di cui gode, a seguito dell’indagine compiuta presso i Vescovi di tutto il mondo, con l’animo di garantire la corretta interpretazione e la retta applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, emana la seguente Istruzione, a norma del can. 34 del Codice di Diritto Canonico.

La competenza dei Vescovi diocesani

13. I Vescovi diocesani, secondo il Codice di Diritto Canonico, devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi5, sempre in accordo con la mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum6. In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

14. È compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum.

Il coetus fidelium (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 1)

15. Un coetus fidelium potrà dirsi stabiliter exsistens ai sensi dell’art. 5 § 1 del Motu Proprio Summorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio, si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella; tale coetus può essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella.

16. Nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con alcune persone ed intenda celebrare nella forma extraordinaria, come previsto dagli artt. 2 e 4 del Motu Proprio Summorum Pontificum, il parroco o il rettore di chiesa o il sacerdote responsabile di una chiesa, ammettano tale celebrazione, seppur nel rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni liturgiche della chiesa stessa.

17. § 1. Per decidere in singoli casi, il parroco o il rettore, o il sacerdote responsabile di una chiesa, si regolerà secondo la sua prudenza, lasciandosi guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza.

§ 2. Nei casi di gruppi numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’Ordinario del luogo per individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi per ivi assistere a tali celebrazioni, in modo tale da assicurare una più facile partecipazione e una più degna celebrazione della Santa Messa.

18. Anche nei santuari e luoghi di pellegrinaggio si offra la possibilità di celebrare nella forma extraordinaria ai gruppi di pellegrini che lo richiedano (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 3), se c’è un sacerdote idoneo.

19. I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale.

Il sacerdos idoneus (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 5 § 4)

20. In merito alla questione di quali siano i requisiti necessari, affinché un sacerdote sia ritenuto "idoneo" a celebrare nella forma extraordinaria, si enuncia quanto segue:

a) Ogni sacerdote che non sia impedito a norma del Diritto Canonico è da ritenersi idoneo alla celebrazione della Santa Messa nella forma extraordinaria7.

b) Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato.

c) Per quanto riguarda la conoscenza dello svolgimento del Rito, si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente.

21. Si chiede agli Ordinari di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino8 e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito.

22. Nelle Diocesi dove non ci siano sacerdoti idonei, i Vescovi diocesani possono chiedere la collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine all’eventuale apprendimento della stessa.

23. La facoltà di celebrare la Messa sine populo (o con la partecipazione del solo ministro) nella forma extraordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio ad ogni sacerdote sia secolare sia religioso (cf. Motu Proprio Summorum Pontificum, art. 2). Pertanto in tali celebrazioni, i sacerdoti a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso speciale dei loro Ordinari o superiori.

La disciplina liturgica ed ecclesiastica

24. I libri liturgici della forma extraordinaria vanno usati come sono. Tutti quelli che desiderano celebrare secondo la forma extraordinaria del Rito Romano devono conoscere le apposite rubriche e sono tenuti ad eseguirle correttamente nelle celebrazioni.

25. Nel Messale del 1962 potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi9, secondo la normativa che verrà indicata in seguito.

26. Come prevede il Motu Proprio Summorum Pontificum all’art. 6, si precisa che le letture della Santa Messa del Messale del 1962 possono essere proclamate o esclusivamente in lingua latina, o in lingua latina seguita dalla traduzione in lingua vernacola, ovvero, nelle Messe lette, anche solo in lingua vernacola.

27. Per quanto riguarda le norme disciplinari connesse alla celebrazione, si applica la disciplina ecclesiastica, contenuta nel vigente Codice di Diritto Canonico.

28. Inoltre, in forza del suo carattere di legge speciale, nell’ambito suo proprio, il Motu Proprio Summorum Pontificum, deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962.

Cresima e Ordine sacro

29. La concessione di usare la formula antica per il rito della Cresima è stata confermata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (cf. art. 9 § 2). Pertanto non è necessario utilizzare per la forma extraordinaria la formula rinnovata del Rito della Confermazione promulgato da Papa Paolo VI.

30. Con riguardo alla tonsura, agli ordini minori e al suddiaconato, il Motu Proprio Summorum Pontificum non introduce nessun cambiamento nella disciplina del Codice di Diritto Canonico del 1983; di conseguenza, negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il professo con voti perpetui oppure chi è stato incorporato definitivamente in una società clericale di vita apostolica, con l’ordinazione diaconale viene incardinato come chierico nell’istituto o nella società, a norma del canone 266 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

31. Soltanto negli Istituti di Vita Consacrata e nelle Società di Vita Apostolica che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici della forma extraordinaria, è permesso l’uso del Pontificale Romanum del 1962 per il conferimento degli ordini minori e maggiori.

Breviarium Romanum

32. Viene data ai chierici la facoltà di usare il Breviarium Romanum in vigore nel 1962, di cui all’art. 9 § 3 del Motu Proprio Summorum Pontificum. Esso va recitato integralmente e in lingua latina.

Il Triduo sacro

33. Il coetus fidelium, che aderisce alla precedente tradizione liturgica, se c’è un sacerdote idoneo, può anche celebrare il Triduo Sacro nella forma extraordinaria. Nei casi in cui non ci sia una chiesa o oratorio previsti esclusivamente per queste celebrazioni, il parroco o l’Ordinario, d’intesa con il sacerdote idoneo, dispongano le modalità più favorevoli per il bene delle anime, non esclusa la possibilità di ripetere le celebrazioni del Triduo Sacro nella stessa chiesa.

I Riti degli Ordini Religiosi

34. È permesso l’uso dei libri liturgici propri degli Ordini religiosi in vigore nel 1962.

Pontificale Romanum e Rituale Romanum

35. È permesso l’uso del Pontificale Romanum e del Rituale Romanum, così come del Caeremoniale Episcoporum in vigore nel 1962, a norma del n. 28 di questa Istruzione e fermo restando quanto disposto nel n. 31 della medesima.

Il Sommo Pontefice Benedetto XVI, nell’ Udienza concessa il giorno 8 aprile 2011 al sottoscritto Cardinale Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha approvato la presente Istruzione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dato a Roma, dalla Sede della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, il 30 aprile 2011, nella memoria di san Pio V.

William Cardinale Levada
Presidente



Mons. Guido Pozzo
Segretario

_______________

1 BENEDETTO XVI, Lettera Apostolica Summorum Pontificum Motu Proprio data, AAS 99 (2007) 777; cf. Ordinamento generale del Messale Romano, terza ed. 2002, n. 397.

2 BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 798.

3 Cf. C.I.C. can. 838 §1 e §2.

4 Cf. C.I.C. can. 331.

5 Cf. C.I.C. cann. 223 § 2; 838 §1 e § 4.

6 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica "Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 799.

7 Cf. C.I.C. can. 900 § 2.

8 Cf. C.I.C. can. 249; cf. Conc. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 36; Dich. Optatam totius n. 13.

9 Cf. BENEDETTO XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica"Motu Proprio data" Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970, AAS 99 (2007) 797.

Fonte: http://press.catholica.va/news_services/bu...=it&index=27408
 
Top
Raimundus
view post Posted on 13/5/2011, 13:45     +1   -1




Istruzione Universae Ecclesiae della Pontificia Commissione Ecclesia Dei sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data "Summorum Pontificum" di S.S. Benedetto XVI: http://press.catholica.va/news_services/bu...=it&index=27408

Testo del motu proprio "Summorum Pontificum": https://musicasacra.forumfree.it/?t=18377330&p=163628050 (cfr. anche http://www.vatican.va/holy_father/benedict...tificum_lt.html)

 
Top
TotusTuus
view post Posted on 13/5/2011, 20:41     +1   -1




Messa in rito antico, istruzioni per l'uso

di Massimo Introvigne



Il 13 maggio 2011 la Pontificia Commissione «Ecclesia Dei» ha pubblicato l’attesa Istruzione «Universae Ecclesiae» sull’applicazione della Lettera Apostolica Motu Proprio data «Summorum Pontificum» di S.S. Benedetto XVI. Come si ricorderà, tale lettera apostolica del 7 luglio 2007 liberalizzava l’uso della liturgia «antica», celebrata secondo il rito detto di san Pio V (1504-1572) e con l’uso del Messale del 1962 del beato Giovanni XXIII (1881-1963). L’Istruzione riporta l’approvazione esplicita di Benedetto XVI e porta la data formale del 30 aprile 2011, festa liturgica di san Pio V.

L’Istruzione interviene su una materia quanto mai controversa, e per comprenderne la portata è necessaria un po’ di storia. Dopo la riforma liturgica del 1969 del servo di Dio Paolo VI (1897-1978) – che non si limitava a passare dal latino alle lingue correnti, ma modificava profondamente la liturgia – si poneva il problema della sorte della liturgia precedente, la cosiddetta «Messa antica» o «Messa di san Pio V», spesso detta anche «Messa in latino», ma in modo impreciso perché anche la Messa secondo la riforma del 1969 può essere celebrata in lingua latina. Non poteva esistere nessun dubbio sulla volontà del servo di Dio Paolo VI di rendere la «nuova Messa» obbligatoria come rito ordinario della Chiesa latina, mentre le Chiese orientali conservavano le loro antiche liturgie. Qualcuno riteneva che la Messa antica fosse stata abrogata, e fosse vietata salvo speciali permessi o indulti concessi a singoli o congregazioni: un’obiezione che si fondava anche su commenti privati e interviste dello stesso servo di Dio Paolo VI.

In favore della Messa antica sorse un vasto movimento, che in parte accettò anche la nuova Messa accanto all’antica, in parte rifiutò la Messa nuova, andando nel secondo caso a confluire nella galassia di movimenti – il più noto dei quali è la Fraternità Sacerdotale San Pio X fondata da monsignor Marcel Lefebvre (1905-1991) – che contestavano anche tutti o alcuni dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II. Per questi movimenti la Messa antica non era l’unica – e forse neppure la principale – ragione di dissenso con Roma, ma ne divenne in qualche modo la bandiera.
Proprio in occasione della scomunica di mons. Lefebvre nel 1988, come l’Istruzione Universae Ecclesiae ora ci ricorda, il beato Giovanni Paolo II (1920-2005), il quale «con lo speciale Indulto Quattuor abhinc annos, emanato nel 1984 dalla Sacra Congregazione per il Culto Divino, [aveva concesso] a determinate condizioni la facoltà di riprendere l’uso del Messale Romano promulgato dal Beato Papa Giovanni XXIII», «con il Motu Proprio “Ecclesia Dei” [appunto] del 1988, esortò i Vescovi perché fossero generosi nel concedere tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedevano». In seguito a tale motu proprio nacquero anche gli istituti detti appunto «Ecclesia Dei» costituiti da sacerdoti e religiosi i quali intendevano preservare il rito antico e nello stesso tempo aderivano al Magistero conciliare e post-conciliare dei Pontefici, prendendo esplicitamente le distanze da mons. Lefebvre. Questi istituti, pur celebrando con il rito antico, s’impegnavano a non contestare non solo la validità – che non era contestata neppure da mons. Lefebvre, almeno in via generale – ma neppure la legittimità del nuovo rito.

Con il motu proprio Summorum Pontificum Benedetto XVI – dal momento che l’appello ai vescovi perché «fossero generosi», per usare un eufemismo, non sempre era stato accolto – fece un passo in più. Chiarì definitivamente che l’antico rito non era stato «mai abrogato» e che rito antico e rito nuovo sono «due usi dell’unico rito romano». Svincolò dall’approvazione previa dei vescovi le Messe private di singoli sacerdoti – cui peraltro, spiegò, «possono essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà», e quelle di ordini e società religiose, ordinando che potessero essere celebrate con il rito antico senza richiedere alcun permesso. Per le parrocchie e i santuari il Papa chiedeva ai parroci e rettori di «accogliere volentieri» le richieste di fedeli legati al rito antico e, qualora ci fossero problemi con i parroci, invitava i fedeli a rivolgersi al vescovo, a sua volta – scriveva Benedetto XVI – «vivamente pregato di esaudire il loro desiderio». Se il vescovo «non può provvedere», aggiungeva il motu proprio, «la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia Dei”».

Trascorsi tre anni dal motu proprio del 2007, com’era stato annunciato, è stata promossa un’inchiesta tra i vescovi di rito latino, dei cui risultati si è tenuto conto per l’Istruzione Universae Ecclesiae. L’Istruzione sintetizza la triplice finalità del motu proprio del 2007, così articolandola: «a) offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’usus antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare; b) garantire e assicurare realmente, a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria; c) favorire la riconciliazione in seno alla Chiesa». Quanto al secondo punto, si sottolinea come tale facoltà «vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari».

È impensabile che non si sia tenuto conto anche delle tante lamentele pervenute alla commissione «Ecclesia Dei» nei confronti di vescovi i quali non applicavano le norme del motu proprio, quando pure non lo criticavano esplicitamente o ne promuovevano una sorta di boicottaggio. Forse tenendo conto di questi problemi, la Universae Ecclesiae ribadisce anzitutto che «il Motu Proprio Summorum Pontificum costituisce una rilevante espressione del Magistero del Romano Pontefice e del munus a Lui proprio di regolare e ordinare la Sacra Liturgia della Chiesa e manifesta la Sua sollecitudine di Vicario di Cristo e Pastore della Chiesa Universale», formula particolarmente impegnativa e solenne per indicare un Magistero da cui dovrebbe essere impensabile che un vescovo cattolico si discosti.

Una parte centrale della Universae ecclesiae riguarda appunto il ruolo dei vescovi. Essi sono chiamati ad «adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano, a norma del Motu Proprio Summorum Pontificum». Adottare le «misure necessarie» per conseguire un certo scopo evidentemente esclude la messa in discussione o il boicottaggio di quello scopo. Certo, afferma l’Istruzione, i vescovi «devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi», ma questa vigilanza non può essere arbitraria. Al contrario, deve essere «sempre in accordo con la mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum». Detto in altre parole, ai vescovi non spetta decidere se è opportuno affiancare al nuovo rito, che evidentemente mantiene il suo ruolo di rito ordinario, il rito antico come rito straordinario. Questo è già stato deciso dal Papa. Ai vescovi spetta semmai stabilire come possa essere introdotto o conservato nelle loro diocesi il rito antico, in stretta conformità non solo alla lettera ma anche alla mens, cioè allo spirito, del motu proprio, il cui scopo è favorire il rito antico e non ostacolarlo.

Dal momento che le controversie non saranno certo arrestate dalla Universae Ecclesiae, molto opportunamente l’Istruzione trasforma il semplice «riferimento» alla Commissione «Ecclesia Dei» del motu proprio in una vera e propria procedura giuridica di appello: «In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei».

L’Istruzione ribadisce che per le Messe private non è necessario chiedere alcun permesso, e che esigere tali permessi è un abuso. Precisa pure che «nel caso di un sacerdote che si presenti occasionalmente in una chiesa parrocchiale o in un oratorio con alcune persone ed intenda celebrare nella forma extraordinaria, come previsto dagli artt. 2 e 4 del Motu Proprio Summorum Pontificum, il parroco o il rettore di chiesa o il sacerdote responsabile di una chiesa, ammettano tale celebrazione, seppur nel rispetto delle esigenze di programmazione degli orari delle celebrazioni liturgiche della chiesa stessa». È dunque chiaro che se un gruppo di fedeli, accompagnato da un proprio sacerdote, si presenta in una chiesa per celebrare una Messa con il rito antico il parroco non può rispondere «Sono contrario alla Messa antica» oppure «Devo chiedere al vescovo». Se la Chiesa non è impegnata da altre celebrazioni, il parroco o rettore deve «ammettere tale celebrazione».

O meglio, la deve ammettere a meno che gli consti che le persone e i sacerdoti che la chiedono fanno parte di gruppi che rifiutano l’autorità del Papa, non solo in teoria ma anche in pratica – per esempio contestandone sistematicamente il Magistero –, ovvero di gruppi che, anche accettando in generale l’autorità del Pontefice, rifiutino la validità o la legittimità della nuova Messa. La formula è molto precisa: «I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale».

Sono esclusi dai benefici della Universae Ecclesiae non solo i fedeli che «appartengano» ai gruppi che il Papa in altra occasione ha chiamato «anticonciliaristi» ma anche coloro, che pur senza «appartenervi», li «sostengano» con parole, scritti o offerte. Non solo coloro che contestano l’autorità del Papa ma anche quelli che contestano «solo» la nuova Messa. E per essere rubricati fra tali contestatori non è necessario mettere in dubbio la «validità» del nuovo rito; è sufficiente contestarne la «legittimità». I due concetti, canonicamente, non sono sinonimi, e la norma sembra scritta quasi apposta per descrivere la posizione della Fraternità Sacerdotale San Pio X, la quale afferma che – a certe condizioni – la nuova Messa è valida, ma afferma pure che non è «legittima», cioè non è una Messa cui i fedeli possano assistere senza mettere in pericolo la loro fede.

Per quanto riguarda le regolari celebrazioni nelle parrocchie e nei santuari, l’Istruzione offre precisazioni sulla questione del cosiddetto «gruppo stabile» (coetus fidelium stabiliter existens) che è titolato a richiederla. «Un coetus fidelium potrà dirsi stabiliter exsistens ai sensi dell’art. 5 § 1 del Motu Proprio Summorum Pontificum, quando è costituito da alcune persone di una determinata parrocchia che, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio, si siano unite in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella; tale coetus può essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi e che a tal fine si riuniscano in una determinata chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella». Non è dunque obbligatorio che tutti i membri del gruppo stabile siano della stessa parrocchia, anzi neppure della stessa diocesi.

Anche nel caso in cui non ci sia un «gruppo stabile» abbastanza numeroso, il vescovo non è autorizzato a chiudere la pratica magari tirando un sospiro di sollievo. Al contrario, spiega l’Istruzione, «nei casi di gruppi numericamente meno consistenti, ci si rivolgerà all’Ordinario del luogo per individuare una chiesa in cui questi fedeli possano riunirsi per ivi assistere a tali celebrazioni, in modo tale da assicurare una più facile partecipazione e una più degna celebrazione della Santa Messa». Anche qui, «individuare una chiesa» è cosa evidentemente diversa dal rispondere che non c’è nessuna chiesa disponibile.

Ci vuole, certo, un «sacerdote idoneo». Ma, precisa l’Istruzione, non c’è bisogno di un provetto liturgista o di un docente universitario di lingua latina. Per il latino, è sufficiente «una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato». Per «la conoscenza dello svolgimento del Rito, si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente».

Certo, questo è un punto di partenza. La Chiesa vuole che la sua liturgia sia la più degna possibile e per questo «si chiede agli Ordinari di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti». Mancano perfino i sacerdoti in grado d’insegnare come si celebra con il vecchio rito? Risponde l’Istruzione che «nelle Diocesi dove non ci siano sacerdoti idonei, i Vescovi diocesani possono chiedere la collaborazione dei sacerdoti degli Istituti eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei, sia in ordine alla celebrazione, sia in ordine all’eventuale apprendimento della stessa».

Altre norme precisano che nel Messale del 1962 in latino «potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi», secondo norme che saranno emanate in seguito; che i sacerdoti che lo desiderano possono usare il Breviario del 1962 in lingua latina; e che è confermata la facoltà di usare la formula antica per la Cresima, mentre per l’Ordine sacro l’antico rito può essere seguito solo negli istituti «Ecclesia Dei» «e in quelli dove si mantiene l’uso dei libri liturgici della forma extraordinaria», dunque non nelle diocesi, il che spiacerà a qualche sostenitore del rito antico.

Al di là di questo ultimo elemento, il senso generale dell’Istruzione è chiaro. Si tratta di un’Istruzione a favore della maggiore diffusione del rito antico, e intesa a rimuovere gli ostacoli che derivano da un’errata o maliziosa lettura del precedente motu proprio. Tutto questo – come Benedetto XVI ha precisato nel discorso del 6 maggio 2011 ai partecipanti al IX Congresso Internazionale di Liturgia, che La Bussola Quotidiana ha a suo tempo presentato e commentato – non per contrapporre riforma liturgica e rito antico, ma per integrarli e «riconciliarli». «Non poche volte – ha detto il Papa in quell’occasione – si contrappone in modo maldestro tradizione e progresso. In realtà, i due concetti si integrano: la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso. Come a dire che il fiume della tradizione porta in sé anche la sua sorgente e tende verso la foce». Il Papa chiede dunque insieme ossequio alla riforma liturgica del servo di Dio Paolo VI e al motu proprio del 2007: «piena fedeltà alla ricca e preziosa tradizione liturgica e alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II, secondo le linee maestre della [costituzione sulla liturgia del Vaticano II] Sacrosanctum Concilium e dei pronunciamenti del Magistero».
 
Top
TotusTuus
view post Posted on 14/5/2011, 16:47     +1   -1




Il significato dell'istruzione "Universae Ecclesiae"

di GUIDO POZZO



La costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium del concilio Vaticano II, afferma che "la Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella Liturgia una rigida uniformità" (n. 37). Non sfugge a molti che oggi sia in questione la fede, per cui è necessario che le varietà legittime di forme rituali debbano ritrovare l'unità essenziale del culto cattolico. Il Papa Benedetto XVI lo ha ricordato accoratamente: "Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l'accesso a Dio. Non ad un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell'amore spinto sino alla fine (cfr. Giovanni, 13, 1) in Gesù Cristo crocifisso e risorto" (Lettera ai vescovi in occasione della revoca della scomunica ai quattro presuli consacrati dall'arcivescovo Lefebvre, 10 marzo 2009).
Il beato Giovanni Paolo II richiamava a sua volta che "la sacra liturgia esprime e celebra l'unica fede professata da tutti ed essendo eredità di tutta la Chiesa non può essere determinata dalle Chiese locali isolate dalla Chiesa universale" (Enciclica Ecclesia de Eucharistia, n. 51) e che "la liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i Misteri" (ivi, n. 52). Nella costituzione liturgica conciliare si afferma inoltre: "il Sacro Concilio, in fedele ossequio alla tradizione, dichiara che la Santa Madre Chiesa considera con uguale diritto e onore tutti i riti legittimamente riconosciuti, e vuole che in avvenire essi siano conservati e in ogni modo incrementati" (n. 4). La stima per le forme rituali è il presupposto dell'opera di revisione che di volta in volta si rendesse necessaria. Ora, le due forme ordinaria e extraordinaria della liturgia romana, sono un esempio di reciproco incremento e arricchimento. Chi pensa e agisce al contrario, intacca l'unità del rito romano che va tenacemente salvaguardata, non svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità a cui hanno diritto.
In continuità col magistero dei suoi predecessori, Benedetto XVI promulgò nel 2007 il motu proprio Summorum Pontificum, con cui ha reso più accessibile alla Chiesa universale la ricchezza della liturgia romana, e ora ha dato mandato alla Pontificia Commissione "Ecclesia Dei" di pubblicare l'istruzione Universae Ecclesiae per favorirne correttamente l'applicazione.
Nell'introduzione del documento si afferma: "Con tale motu proprio il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha promulgato una legge universale per la Chiesa" (n. 2). Ciò significa che non si tratta di un indulto, né di una legge per gruppi particolari, ma di una legge per tutta la Chiesa, che, data la materia, è anche una "legge speciale" che "deroga a quei provvedimenti legislativi, inerenti ai sacri Riti, emanati dal 1962 in poi ed incompatibili con le rubriche dei libri liturgici in vigore nel 1962" (n. 28). Va qui ricordato l'aureo principio patristico da cui dipende la comunione cattolica: "ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l'integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede" (n. 3). Il celebre principio lex orandi-lex credendi richiamato in questo numero, è alla base del ripristino della forma extraordinaria: non è cambiata la dottrina cattolica della messa nel rito romano, perché liturgia e dottrina sono inscindibili. Vi possono essere nell'una e nell'altra forma del rito romano, accentuazioni, sottolineature, esplicitazioni più marcate di alcuni aspetti rispetto ad altri, ma ciò non intacca l'unità sostanziale della liturgia.
La liturgia è stata ed è, nella disciplina della Chiesa, materia riservata al Papa, mentre gli ordinari e le conferenze episcopali hanno alcune competenze delegate, specificate dal diritto canonico. Inoltre, l'istruzione riafferma che vi sono ora "due forme della Liturgia Romana, definite rispettivamente ordinaria e extraordinaria: si tratta di due usi dell'unico Rito romano (…) L'una e l'altra forma sono espressione della stessa lex orandi della Chiesa. Per il suo uso venerabile e antico, la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore" (n. 6). Il numero seguente riporta un passaggio-chiave della lettera del Santo Padre ai vescovi, che accompagna il motu proprio: "Non c'è nessuna contraddizione tra l'una e l'altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c'è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso" (n. 7). L'istruzione, in linea col motu proprio, non riguarda solo quanti desiderano continuare a celebrare la fede nello stesso modo con cui la Chiesa l'ha fatto sostanzialmente da secoli; il Papa vuole aiutare i cattolici tutti a vivere la verità della liturgia affinché, conoscendo e partecipando all'antica forma romana di celebrazione, comprendano che la costituzione Sacrosanctum concilium voleva riformare la liturgia in continuità con la tradizione.

(©L'Osservatore Romano 15 maggio 2011)
 
Top
3 replies since 13/5/2011, 12:59   161 views
  Share