Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

«Nelle chiese canti banali Si torni alla musica sacra»

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TotusTuus
view post Posted on 21/12/2010, 11:32     +1   -1




«Nelle chiese canti banali Si torni alla musica sacra»

Muti: no al malcostume degli strimpellatori



NAPOLI - Ma qual è oggi la missione, artistica e sociale, della musica di Dio? Riccardo Muti domani riapre il San Carlo di Napoli con l' Ouverture in sol maggiore di Cherubini «la sua unica da concerto», l' Incompiuta di Schubert «carica di spiritualità e di introspezione» e lo Stabat Mater di Rossini, «un omaggio al teatro di cui fu direttore». La Chiesa, con l' aristocrazia, in passato fu motore del mecenatismo, laddove la musica doveva essere funzionale al rito. Oggi il repertorio sacro arranca nel dialogo coi fedeli. La critica viene anche dall' interno, monsignor Ravasi, papa Ratzinger. Muti: «Io ho denunciato questo costume, che definisco malcostume, di suonare canzoncine banali accompagnate da strimpellatori, con testi vuoti di significato e profondità in luoghi dove allora sarebbe meglio il silenzio per raggiungere un senso di congiungimento col divino. Se si pensa alla forza genuina e trascinante che hanno i gospel afro-americani... È una cosa molto grave, e mi stupisco che i preti disattendano i moniti di Benedetto XVI, molte chiese sono dotate di organi che potrebbero essere suonati da qualsiasi allievo di conservatorio. È un segno di decadimento della società o di coloro che dovrebbero sovrintendere a questo messaggio? Nelle nostre chiese una volta risuonavano Orlando di Lasso, Marenzio, Palestrina. Oggi è interessante Arvo Pärt. Eppure...». Muti è reduce dal Moïse et Pharaon: «Su sei recite, ho bissato per cinque volte la preghiera finale. Perché quel pezzo e non altri di maggiore effetto? C' è nel pubblico un bisogno di spiritualità. Seguiamo passivi i tg con gli adolescenti che scompaiono nel nulla o le stragi, ma è rimasta la voglia di un mondo di pace, ed è la musica che ci riporta a una dimensione trascendente. Fin dagli uomini primitivi, è il veicolo di comunicazione più immediato col cielo, con un' entità superiore; c' è un senso di religiosità connesso al canto e al ritmo, nel sentimento che porta a Dio, sia nel senso del mistero e del dolore che nella gioia». «Poi il canto confluì in forme più complesse, il contrappunto fiammingo trovò una distensione melodica in Italia tra madrigali e mottetti. La Chiesa, dapprima col gregoriano, favorì i compositori. I due Gabrieli, Gesualdo da Venosa. Ha profittato della potenza della musica nei momenti di meditazione e raccoglimento e nell' espressione popolare, penso alle Messe del ' 700, a Pergolesi. Tutti i musicisti hanno scritto musica da chiesa, benché non "scritturati". E sbagliavano gli occhi negativi d' Oltralpe, a cominciare da Schumann, nel giudicare le nostre Messe o Stabat Mater come pezzi operistici». Negli Anni 80, non si poté più applaudire in chiesa e la musica ne fu bandita. «Ho un ricordo indelebile. A Firenze eseguii la Messa da Requiem di Verdi nella Basilica di San Lorenzo: la cupola del Brunelleschi, le tombe medicee di Michelangelo, l' altare di Verrocchio, i pulpiti di Donatello. Ebbi quasi un sentore di mancamento. Subito dopo il cardinale proibì la musica classica, fu il punto di maggior cecità e oscurantismo della Chiesa, che abdicò a secoli di storia». La contaminazione in voga potrebbe favorire il dialogo fra le diverse fedi. «All' attuale fase stagnante subentrerà una musica frutto di fenomeni migratori che mescolerà le culture. Sono ottimista». La musica sacra deve comunicare o sperimentare, è nutrimento che conduce alla fede o deve assecondare la nuova grammatica musicale? «Ogni compositore esprime se stesso. Verdi pensò il Requiem in senso utilitaristico, il Libera Me finisce come domanda di fronte all' esistenza di Dio». Lei, che debuttò col violino a 8 anni al Seminario pontificio regionale di Molfetta... «Vengo da una famiglia cattolica, penso che i nostri sentimenti non siano una frizione di elementi chimico-fisici, dentro di noi c' è un' energia spirituale che fa parte dell' universo». La sua posizione ricorda quella di Gassman, quando ci diceva: «Credo di credere». «Ecco, mi ritrovo in Vittorio».

Cappelli Valerio



Fonte: Corriere della Sera
 
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TotusTuus
view post Posted on 21/12/2010, 14:50     +1   -1




Sulle sollecitazioni di Muti dalle colonne del "Corriere della Sera"

Musica sacra specchio dei tempi

Bisogna alzare il livello artistico nella liturgia e più in generale nella società

di Marcello Filotei



Gli strimpellatori sono sempre esistiti. L'elevazione di onesti dilettanti a ruoli che non competerebbero loro, in ambito sacro e profano, rende conto dello stato dell'arte in Italia, e non solo. Riccardo Muti sul "Corriere della Sera" di lunedì 20 si chiede se il diffuso basso livello della musica liturgica sia "un segno di decadimento della società o di coloro che dovrebbero sovrintendere a questo messaggio?". La domanda, che sollecita un dibattito necessario, rischia però di far passare in secondo piano la questione principale che sembra essere: come elevare il livello della musica liturgica, garantendo al contempo la partecipazione, in varie forme, dell'assemblea?
Retorica e banalità sono sempre in agguato quando si toccano certi argomenti. È certamente necessario diffondere il più possibile il canto gregoriano, i mottetti, le messe, gli Stabat mater e quanto di più sublime hanno prodotto i secoli che hanno preceduto quelli in cui viviamo. Ma se la Chiesa si pone l'obiettivo di riconquistare quel ruolo di mecenatismo che sembra avere perduto, non può limitarsi a rispolverare durante le funzioni antichi capolavori, che peraltro quasi nessuno conosce e apprezza, e deve invece porsi il problema di un bilanciamento tra le esigenze dei compositori di oggi e le necessità della liturgia. E allora la questione assume il carattere drammatico che gli compete: lo stato della musica liturgica è lo stesso di quello della musica più in generale.
Per essere chiari, nella musica liturgica, come in quella d'arte, non mancano oggi esempi di altissimo livello, e non sono mancati in passato esperimenti ottimamente riusciti come quello di commissionare a compositori contemporanei brani originali da utilizzare durante le funzioni. La diffusione di questi lavori, però, è limitatissima, perché limitatissima è la capacità di recezione, o meglio la "necessità" di alzare il livello artistico nella liturgia, e più in generale nella società. Le sale da concerto sono semivuote - non certo quando dirige Muti che, fortunatamente, è una delle felicissime eccezioni - e il pubblico vuole riascoltare in eterno quello che già conosce; molte volte ai concerti si va più per partecipare a un evento mondano che per ascoltare. In poche parole, la musica colta ha perso quasi del tutto il suo ruolo sociale.
Il naturale bisogno di elevamento spirituale, in ambito sacro e profano, è soddisfatto in gran parte, soprattutto in Italia, dalla musica cosiddetta leggera, che appare spesso di una estrema pesantezza. E allora certo potremo chiedere agli studenti di conservatorio di suonare gli organi delle chiese, come suggerisce Muti. Sarebbe sempre meglio di ascoltare dilettanti maltrattare chitarre, ma rimarrebbe aperta la questione centrale: perché in pochi si lamentano del basso livello delle "esecuzioni". La risposta è drammaticamente semplice e fastidiosamente elitaria: troppo pochi distinguono un pessimo chitarrista da un dignitoso organista.
Ed ecco ancora la retorica in agguato: la crisi della musica liturgica è parte in Italia della crisi della musica tout court e l'unica soluzione di lungo periodo è innalzare il livello culturale del Paese. Sembra una strada senza uscita e invece l'uscita c'è, ma ci vuole tempo e una pianificazione non limitata alla necessità di vincere le prossime elezioni. Si cominci a fare quello che si può: si diffonda il più possibile la musica colta e l'arte in generale. Senza falsi pudori, senza vergognarsi di dire che non tutto è uguale a tutto.


(©L'Osservatore Romano - 20-21 dicembre 2010)
 
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