| Cercherò di dare una sintetica risposta a tutte le questioni, accorpando quelle di argomento simile.
1. In primo luogo, l'affermazione secondo cui la Bibbia sarebbe data una volta per tutte (ed evidentemente sarebbe soggetta ad una interpretazione univoca), mentre la Tradizione sarebbe soggetta al divenire e quindi a modificazioni, è storicamente falsa. Com'è noto, infatti, il testo sacro è stato scritto nel corso di lunghi secoli secondo il piano della provvidenza divina, che non ha offerto tutte le verità rivelate in una soluzione unica, ma le ha dispensate nel corso della storia a seconda della disposizione degli uomini e del globale disegno dell'economia della salvezza. Quindi è un testo "dato" per noi, ma non, ad esempio, per Mosè o per Isaia, visto che la rivelazione pubblica contenuta nella Scrittura ha avuto termine con S. Giovanni. E non è neppure del tutto corretto dire che per noi è "dato", visto che resta aperta la questione dell'interpretazione, che, se non viene risolta, fa della Bibbia un testo che - come direbbe Pirandello - è "uno, nessuno e centomila".
Da quanto abbiamo detto, è chiaro che la fede di S. Paolo era, da un punto di vista teologico, più approfondita di quella dei Maccabei, e che questi, a loro volta, ne sapevano più di Mosè. Non appare strano, dunque, che il cattolico di oggi abbia una maggiore conoscenza teologica rispetto ai cristiani dei primi secoli. Gli stessi Apostoli sentirono l'esigenza di precisare nei loro scritti il messaggio di Gesù, specialmente per contrastare alcuni errori che si diffondevano nelle varie chiese (si pensi, per esempio, alle Lettere ai Tessalonicesi). Ora, sarebbe paradossale che Dio, passata l'età apostolica, avesse lasciato i fedeli senza un'autorità preposta ad interpretare correttamente - e quindi ad approfondire - il suo messaggio rivelato. È da notare, infatti, che tutte le eresie pretendono di dare l'unica lettura corretta del testo sacro. Nella Scrittura stessa si precisa che "Nessuna profezia della Scrittura soggiace a interpretazione privata" (2 Piet. 1, 20). Non si vede che valore avrebbe - anche per il solo insegnamento - una Scrittura sottoposta all'esegesi personale del singolo fedele.
2. È puerile accusare i cattolici di contravvenire all'insegnamento del Vangelo utilizzando i termini "padre" e "maestro". È evidente che la condanna di Gesù riguardava non l'uso di queste parole, ma l'abuso di chi attribuiva al "padre" e al "maestro" terreno le prerogative di Padre e Maestro divino. Altrimenti non dovremmo usare "padre" neppure per rivolgerci al nostro genitore, né "maestro" per designare il nostro insegnante di scuola. Non si vede, infatti, perché una simile applicazione dovrebbe valere solo per i sacerdoti cattolici. E anche S. Giovanni, che nelle sue lettere usa spesso il termine "figlioli" (al quale soggiace il concetto di "padre") non avrebbe capito nulla.
3. Il giudizio sulla coscienza personale di un essere umano - sia esso un personaggio pubblico o meno - è un atto talmente temerario e contrario (questo sì) all'insegnamento evangelico, da non aver bisogno di commenti. A meno che non si voglia scendere fino al ridicolo di mettere in connessione la lunga veste dei farisei con la talare dei sacerdoti cattolici.
4. Sul rapporto fede-opere, S. Giacomo afferma esplicitamente: "A che servirebbe, fratelli miei, se uno dicesse che ha la fede, ma non avesse le opere? Potrebbe forse quella fede salvarlo? [...] La fede, se non ha le opere, è per se stessa morta. Anzi, dirà qualcuno: "Chi ha la fede, chi invece ha le opere". Mostrami la tua fede senza le opere, mentre io ti mostrerò dalle opere mie la fede! Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene! Ma anche i demoni lo credono, eppure ne hanno orrore" (Giac. 2, 14 e 17-19). Quindi l'insegnamento del Concilio Tridentino è perfettamente in linea con la dottrina biblica. Ovviamente non c'è contraddizione tra ciò che dice S. Giacono e cil che dice S. Paolo. Fede ed opere sono entrambe necessarie alla salvezza. E come è nell'errore chi pretendesse di salvarsi con una fede puramente intellettuale, senza alcun risvolto pratico, lo è anche chi crede di potersi salvare unicamente per virtù propria, per il valore intrinseco delle proprie azioni. È contro questa ultima classe di persone che S. Paolo rivolge la sua critica.
5. Per "salvezza" i cattolici intendono il conseguimento dell'eterna beatitudine. Quindi è errato sostenere che la salvezza si ottiene nel momento stesso in cui "si accetta" il Vangelo, visto che tale accettazione può essere revocata in qualunque momento. Quando si dice che credendo in Cristo si ottiene la salvezza si presuppone, ovviamente, la perseveranza di questa convinzione fino alla morte e una condotta di vita corrispondente. Non capisco poi che cosa significhi accettare il Vangelo. È un atto puramente intellettuale e spirituale o presuppone un ravvedimento dei costumi? Questo ravvedimento, se necessario, non si identifica forse con le buone opere di cui si è testé affermata l'inutilità?
6. Secondo la dottrina cattolica, il purgatorio è un luogo dove le anime, che sono già state giudicate degne del paradiso, scontano la pena che meritano per le loro colpe prima di entrare nel regno eterno. È quindi errato affermare che attraverso il purgatorio si ottiene la salvezza, come se le anime presenti in esso non fossero già state giudicate salve. Sarebbe come mettere in contrasto la salvezza operata da Cristo con gli atti positivi che in terra facciamo per meritare questa salvezza.
7. La necessità del battesimo per la salvezza è affermata nel Vangelo (Giov. 3, 5) ed è implicita nel comando di Cristo, presente alla fine del Vangelo di Matteo, di battezzare tutte le genti.
8. La Messa non è una ripetizione del Sacrificio di Cristo, compiuto una volta per sempre sulla Croce, ma una sua riattualizzazione e applicazione.
9. La Chiesa non ha mai affermato che la Madonna e i Santi sono mediatori tra Dio e gli uomini. Essi sono semplicemente intercessori, cioè anime beate che possono pregare per noi, così come agli uomini sulla terra è consentito di pregare gli uni per gli altri.
10. Per ottenere la remissione dei peccati non basta la certezza di tale remissione, ma occorre il pentimento e il proposito di cambiare vita. Questo concetto, implicito nell'espressione "confessandogli le nostre colpe" di S. Giovanni, è confermato da numerosissimi passi del NT, per esempio 2 Piet. 3, 9. Interpretare isolatamente questo passo, come se per il perdono dei peccati fosse sufficiente la fiducia nella remissione, senza alcun pentimento e proposito di non cadere più ("abbandonandosi ad essa soltanto"), è un assurdo logico e teologico, e come tale è stato riprovato da Concilio di Trento.
11. Il termine "santi", secondo l'opinione di tutti gli esegeti più accreditati, viene usato nella Bibbia, di solito, per indicare i "fedeli", i "giusti". Nella Chiesa primitiva cominciò ad essere usato per designare le anime beate del paradiso, e tale uso si è mantenuto ancora oggi (per "festa di tutti i Santi" si intende infatti la festa non solo dei santi canonizzati, ma di tutte le anime che godono dell'eterna beatitudine). In senso stretto, il termine santo indica una persona che, per eroicità di virtù, è stata canonizzata, cioè additata a modello di vita dalla Chiesa. Si tratta di distinzioni puramente terminologiche.
12. L'espressione del salmo usata per confutare il valore dei suffragi, se applicata letteralmente, significherebbe l'inutilità assoluta non solo di tutte le preghiere a favore dei fratelli (concetto esplicitamente raccomandato in numerosissimi passi del NT), ma anche di qualunque atto volto alla conversione dell'altro. Il passo scritturistico, inoltre, è malamente tradotto. Il testo originale afferma: "Per certo non si libera l'uomo, non può dare a Dio il suo riscatto". Il che, interpretato tipicamente, allude al fatto che l'uomo non può ottenere la redenzione se non in Cristo.
13. Secondo la dottrina cattolica, la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo. Quindi dire che la salvezza si ottiene "in lui" equivale a dire che si ottiene nella società visibile dei fedeli da Lui fondata e con Lui a capo (il Papa non è che il Suo vicario). E del resto che cosa significa credere in Cristo se non professare la sua dottrina, vivere in conformità con essa e quindi essere parte della Chiesa da Lui istituita per la conservazione del Suo messaggio rivelato?
14. È capzioso enucleare le affermazioni dei Pontefici, isolandole dal loro contesto, per metterle in apparente contrasto con la Bibbia. Quando si dice, per esempio, che tramite la Madonna si va in paradiso, si intende che il suo potere come intercessore presso Dio, in quanto Madre di Cristo, è grandissimo, ma ciò non significa che essa sia l'artefice della salvezza o della redenzione. Questo concetto è chiarissimo sia nei documenti pontifici (se citati nel giusto modo) sia nella mente dei cattolici, che non hanno mai venerato la Madonna o i Santi come dèi.
15. I cattolici non parlano con i defunti, ma rivolgono loro delle preghiere. Il passo scritturistico si riferisce evidentemente alla pratica della negromanzia, che consisteva nel tentativo di evocare lo spirito del defunto sulla terra. Senza contare che gli ebrei del tempo avevano una concezione dell'aldilà (considerato una specie di ade greco-romano) che è stata ampiamente superata dalla rivelazione neotestamentaria.
16. Il tentativo di dimostrare un contrasto tra due dottrine contrapponendo estratti dell'una e dell'altra, senza contesto e senza analisi approfondita del contenuto, è intellettualemente scorretto. Con lo stesso procedimento, citando cioè a casaccio estratti della Scrittura e mettendoli a paragone con gli articoli di fede protestanti, si può "dimostrare" l'inattendibilità della Trinità, della natura divina di Cristo, ecc. ecc. Io ho risposto non perché consideri valido questo metodo, ma per farne emergere l'assurdità.
|