| L'intossicazione dell'anima etica Effetto del degrado estetico che ci circonda. Perché, secondo lo psicanalista Luigi Zoja, il brutto è anche immorale
Gli uomini", scriveva il filosofo Walter Benjamin, "stanno vivendo la loro decadenza come se fosse un'esperienza estetica". Viviamo qualcosa di più profondo del semplice cattivo gusto: una mancanza di senso, una zona grigia che si allarga negli animi, un'emorragia di umano che coinvolge cultura, arte e mass media, il modo di costruire e di parlare, di andare in vacanza e di vestire, la gestione del proprio tempo libero, il rapporto con il paesaggio e con la natura. Il grido di dolore è dello psicanalista Luigi Zoja, autore di Giustizia e Bellezza (Bollati Boringhieri), un libro che aiuterà gli smarriti della modernità e conforterà chi ha piena coscienza della crisi di valori contemporanea. Zoja - già presidente Iaap (International Association of Analytical Psychology, che raggruppa gli analisti junghiani nel mondo) e autore di saggi tradotti in 14 lingue - ci accoglie nel suo studio milanese. "Il brutto è immorale", spiega senza mezzi termini. "È una ferita all'anima imposta continuamente a chi non l'ha meritata, sotto forma di paesaggi deteriorati dalla deforestazione e dall'edilizia illegale, di un'architettura sciatta e utilitarista, di oggetti le cui forme non conservano più traccia del lavoro e dell'attenzione umana. Siamo circondati da cose sempre più brutte, rifiuti di prodotti, ambienti masticati e sputati". Tutto questo crea "un'intossicazione psichica permanente", restringe l'esperienza, serra l'anima. Del resto, la parola "angoscia" viene dal latino angustia, che significa "strettezza". La mancanza di bellezza, dice Zoja, genera una carestia senza precedenti, che "colpisce non solo le classi lavoratrici, ma anche il ceto medio e gran parte delle élite. Il bello, come il bene, è un'esigenza primaria, archetipica. Ma l'estetica, secondo i greci, era inscindibilmente intrecciata alla giustizia, all'etica. Entrambe sono frutto del bisogno di elevazione. Oggi sentiamo una disperata necessità di giustizia, di distinguere il bene dal male, ma abbiamo dimenticato i comandamenti estetici. In un mondo in cui razionalità e funzionalità hanno soppiantato il mistero e il trascendente, c'è fame di significati, di un valore supremo, senza il quale si sfocia nella patologia". Si diffondono forme estetiche malate, come il grottesco, lo choccante, l'orripilante, l'osceno: dimenticare la bellezza non significa farla sparire, sostiene ancora Zoja, ma obbligarla a esprimersi in forme sempre più inconsce, nevrotiche, perverse. Per esempio, i vandalismi e il teppismo nelle periferie: "Dove più c'è bruttezza, più c'è violenza. Lo dimostrano molte città statunitensi". L'analista è convinto che nessuna vera società possa fare a meno di un'autentica educazione al bello: "La diseducazione all'estetica equivale alla complicità con la bruttezza, che è violenza inflitta all'anima; o perlomeno diseducazione culturale, se il presupposto materialista non permette di usare questa parola. Violenza e diseducazione possono essere un costo insostenibile nella costruzione di una nuova società. Non sto suggerendo di tornare indietro, ma di avere qualche pensiero metafisico, che vada al di là degli oggetti, dell'oggi. Per elevarsi". Cosa rara negli Usa, dove c'è scarsa attenzione all'estetica, al piacevole e anche all'eros: "Il mondo anglosassone è pieno di regole. Ma prima delle regole c'è l'etica, e insieme l'estetica: solo così la riflessione sui valori è completa". Dal punto di vista urbanistico, abbiamo fatto parecchi passi verso il brutto e l'"immorale": lasciando prevalere la strada, ovvero lo spostarsi degli individui da un punto all'altro, rispetto alla piazza, nella quale si radicava la bellezza condivisa, lo spirito di aggregazione. Negli Stati Uniti scarseggiano le piazze. Le città sono un intersecarsi di linee rette, benché nella natura si incontrino raramente. "In una città moderna", dice Zoja, "il nostro occhio può infettare lentamente l'animo con sentimenti di piattezza, di innaturalità e quindi di estraneità". Incontriamo altre "perversioni" nel vestire e nell'arte. "L'etichetta, un tempo destinata alla visione di chi la indossa, oggi è brand, logo destinato agli altri. A rendere speciale un capo non è ciò che ha di unico, ma ciò che ha di standardizzato, di comune a infiniti altri". Spiega ancora lo psicanalista: "Quanto all'arte, siamo passati da società semplici, che permettevano a chiunque un certo accesso alla bellezza, a una società globalizzata che l'ha resa praticamente inaccessibile. È vero, molti pagano un biglietto e possono ammirare i capolavori. In che modo, però? Tutti in fila, in modo scolastico, e per un istante. Solo i super ricchi, che comprano le opere, possono accedervi davvero. Così, dalla bellezza condivisa si passa al lusso esclusivo, che suscita invidia. Nel termine "esclusivo" c'è qualcosa di immorale: significa "caccio via gli altri". E "lusso", in latino, vuol dire "fuori posto"; pensiamo per esempio a una spalla lussata. Il potere segreto della bellezza è il titolo di un altro saggio sull'argomento, appena pubblicato da Guanda e scritto dallo scozzese John Armstrong. L'autore - passando da Plotino a Kant, da Winckelmann a Ruskin - indaga su questo concetto, impossibile da portare completamente alla luce ma comunque necessario, fatto di una perfetta coincidenza di elementi materiali (ritmo, linea, forma, struttura) e valori spirituali o morali (verità, promessa di felicità, segno di perfezione morale). Ancora l'etica, dunque. Dove troveremo la bellezza che ci è necessaria per vivere? "Essendo un valore nascosto, una qualità divina che si allontana, il nostro occhio dovrà andarla a cercare, con pazienza, in piccoli episodi quotidiani, nell'arte moderna mescolata alla bruttezza, nel cinema neorealista che filmava in bianco e nero con grande capacità estetica. Occorre non avere fretta. C'era bellezza nel violinista americano che per un'ora ha suonato uno Stradivari nella metropolitana. Pagato di solito mille dollari al minuto, ne ha guadagnati 30: il problema era la fretta della gente. Uno dei massimi responsabili dell'intossicazione del XX secolo è stato Filippo Tommaso Marinetti, con i suoi inni alla velocità. Purtroppo ha fatto molti proseliti, anche a sinistra". La via maestra per ritrovare la bellezza è, dunque, abbandonare l'arroganza. Per riconquistare la percezione del destino e della tragedia. "Eliminando ogni riflessione sulla morte, si elimina una grossa occasione di creazione estetica. L'etica laica di oggi si ferma davanti a quella soglia, l'estetica cerca sempre di includerla. Ce lo insegnano Thomas Mann, Yukio Mishima e l'intera tradizione giapponese. Epica e lirica greca ruotavano intorno alla caducità della vita, e così la tragedia, ma senza mai rappresentare l'oscenità della morte. Oggi cinema e fiction sono pieni di morti ammazzati, ma senza riflessione. La nostra società rifiuta la morte, perdendo così il senso della trascendenza. Dove tutto è mercato, la morte non si vende. È stata, nel XX secolo, il grande tabù che ha sostituito il sesso". Sarà per questo che spopolano gialli e horror di pessima fattura? ""Horribilis"", spiega Zoja, "voleva dire "ripugnante", sia in senso etico che estetico". "Oggi", conclude, "tutte le principali componenti della società, dall'economia allo sport, alla politica, possono nascondere un cuore strutturalmente, e non solo occasionalmente, malvagio. Il Male non è uno sciacallo che, in certe notti, si aggira alla periferia della città: abita in piena luce, nel suo palazzo". Eppure, aggiunge, "anche la mattina rinasce a mezzanotte", e bisogna avere speranza. La bellezza non scomparirà dalla Terra. "La nottola di Minerva spicca il volo soltanto sul far del crepuscolo", scriveva Hegel. Il processo della comprensione è lungo e doloroso, ma forse il grigio sta per diradarsi. Sarebbe bello, tuttavia, sapere a che punto è la notte.
Fonte: repubblica.it
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