Ecclesia Dei. Cattolici Apostolici Romani

MOTU PROPRIO "SUMMORUM PONTIFICUM" di BENEDETTO XVI

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Raimundus
view post Posted on 7/7/2007, 18:55     +1   -1




Benedetto XVI liberalizza il rito antico della messa. E spiega perché
Prima, durante e dopo il Concilio Vaticano II, fino al 1970, si celebrava la messa così. Se il passaggio al nuovo rito ha creato divisioni e rotture tra i fedeli, la colpa è anche della Chiesa: quella colpa alla quale ora il papa vuole porre rimedio

di Sandro Magister





ROMA, 7 luglio 2007 – L'attesissimo "motu proprio" papale sul rito della messa anteriore alla riforma del 1970 è stato reso pubblico oggi, assieme a una lettera di spiegazione di Benedetto XVI ai vescovi.

I due documenti sono stati inviati con qualche giorno d'anticipo, sotto segreto, a tutti i presidenti delle conferenze episcopali e a tutti i nunzi, che hanno provveduto a trasmetterli a tutti i vescovi del mondo.

Il "motu proprio" è in latino, ma il Vaticano ha predisposto delle versioni "non ufficiali" in diverse lingue. Entrerà in vigore il 14 settembre 2007.

Le nuove regole fissate da Benedetto XVI ampliano la possibilità di celebrare la messa secondo i libri liturgici editi da Giovanni XXIII nel 1962, fermo restando che la forma "ordinaria" di celebrazione nelle chiese cattoliche rimarrà quella stabilita da Paolo VI nel 1970.

La messa secondo i libri liturgici del 1962 si celebra in lingua latina, ma con la possibilità di leggere in lingue moderne il brano del Vangelo e le altre letture. Nulla è detto, nel messale del 1962, sull'orientamento dell'altare e del celebrante, verso il popolo o no.

Le due forme della messa, quella "ordinaria" del 1970 e quella "straordinaria" del 1962, seguono calendari in parte diversi. Anche i brani del Vangelo e le altre letture non coincidono. Ma tali differenze non sono inusuali nella liturgia cattolica. Anche il rito ambrosiano in uso nell'arcidiocesi di Milano ha un calendario, un lezionario e un rituale propri. Ad esempio, l'Avvento comincia sei domeniche prima di Natale invece che quattro come nel rito romano. Il segno della pace è prima dell'offertorio invece che prima della comunione.

Il messale del 1962, l'unico autorizzato per chi desidera celebrare secondo il rito antico, non contiene né la preghiera "pro perfidis Judaeis" – che propriamente significa: "per gli ebrei che non credono [in Gesù Cristo]" – né altre formule divenute oggetto di critica, modificate già da Giovanni XXIII. Tali formule non esistono più nemmeno nel rituale del battesimo anteriore al Concilio Vaticano II: rituale anch'esso autorizzato dal "motu proprio".

Nella sua lettera di accompagnamento, Benedetto XVI chiede ai vescovi di fare un resoconto dopo tre anni, in modo da poter cercare soluzioni se si manifestano “serie difficoltà”.


* * *

Dice il Papa: "Subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia".
 
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Raimundus
view post Posted on 7/7/2007, 19:21     +1   -1




IL FILE PDF COL NUMERO ODIERNO DE L'OSSERVATORE ROMANO CONTENENTE IL TESTO DEL MOTU PROPRIO: http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/153q01.pdf
 
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Raimundus
view post Posted on 7/7/2007, 21:37     +1   -1




"Permetterà di conquistare la riconciliazione e l'unità''

Sì alla messa in latino. Il Papa: "Non spaccherà la Chiesa"

Ratzinger pubblica il motu proprio che entrerà in vigore il 14 settembre e che regola l'uso dell'antico messale nella versione già riveduta da Giovanni XXIII nel 1962. Un gruppo di fedeli può richiederne la celebrazione: "Il parroco accolga il loro desiderio"

ascolta la notizia Città del Vaticano, 7 lug. - (Adnkronos/Ign) - ''Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è l'espressione ordinaria della 'lex orandi' (legge della preghiera) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal beato Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa 'lex orandi' e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico''. Comincia così il primo articolo del motu proprio 'Summorum Pontificum' di Benedetto XVI che torna a liberalizzare la messa in latino di San Pio V, facendone una celebrazione straordinaria dell'unico rito romano. Il documento entrerà in vigore il prossimo 14 settembre.

''Queste due espressioni della 'lex orandi' della Chiesa - continua la prima norma del documento - non porteranno in alcun modo a una divisione nella 'lex credendi' ('legge della fede') della Chiesa; sono infatti due usi dell'unico rito romano''.

Il motu proprio del Pontefice si compone in tutto di 12 articoli che regolano l'uso dell'antico messale nella versione già riveduta da Giovanni XXIII nel 1962. Il testo è preceduto da una breve introduzione storica, un excursus che spiega le ragioni essenziali del ritorno all'uso del messale tridentino, sia pure in forma straordinaria, accanto a quello di Paolo VI segnato dalla riforma conciliare.

Il Papa ha poi scritto una lettera rivolta ai vescovi di tutto il mondo per chiarire alcuni punti controversi relativi al tema. In particolare il Pontefice ha voluto chiarire che nella storia liturgica della Chiesa ''c'è crescita e progresso, ma nessuna rottura''. Si fa poi riferimento all'arcivescovo Marcel Lefebvre, al tentativo di recuperare le comunità che lo hanno seguito già avviato da Giovanni Paolo II. Complessivamente Benedetto XVI tende poi a gettare acqua sul fuoco delle possibili polemiche facendo presente che in ogni caso l'antica liturgia non potrà essere seguita che da una minoranza dei fedeli che conoscono il latino e che si attengono al messale di San Pio V, mentre mette in guardia dalla ''creatività'' che ha deformato la liturgia in seguito alla riforma del Concilio.

Proprio l'articolo 5 del motu proprio stabilisce le modalità di richiesta della messa secondo l'antico rito. ''Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962''.

Ratzinger, dunque, spiega i motivi che lo hanno indotto a liberalizzare la messa in latino. Innanzitutto, il Papa fuga i timori che l'antico rituale possa portare a "spaccature nelle comunità parrocchiali". Non è destinata a provocare spaccature nella Chiesa, in quanto - sottolinea Ratzinger - presuppone ''una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l'una che l'altra non si trovano tanto di frequente''.

Anzi, il motu proprio è stato fatto per ''giungere a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa''. In passato, scrive Benedetto XVI nella missiva, "non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l'unità''. Ma nella liturgia c'è continuità e non rottura fra passato e presente: "Non c'è nessuna contraddizione tra l'una e l'altra edizione del Missale Romanum. Nella storia della Liturgia c'è crescita e progresso, ma nessuna rottura''.

Comunque, semmai dovessero nascere controversie intorno alla messa di San Pio V il vescovo può intervenire per sciogliere il problema o rivolgersi al Vaticano se la questione rimane irrisolta. In ogni caso è ''vivamente pregato'' di esaudire il desiderio dei fedeli che vogliono celebrare la messa in latino. Il vescovo di una determinata diocesi ha anche la possibilità - secondo quanto stabilito dal motu proprio - di ''erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto''. Di fatto il vescovo potrà indicare in quale parrocchia della sua diocesi si celebrano le messe secondo il rito tridentino.

Agenzia AdnKronos

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Il Papa: "La messa in latino
per riconciliare i fedeli"




Il rito in latino «non spaccherà la chiesa»
CITTA' DEL VATICANO
«È vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all`attitudine di fedeli legati all`antica tradizione liturgica latina»: è uno dei passaggi chiave della lettera con cui il Papa accompagna il Motu proprio che rende lecita la celebrazione della messa pre-conciliare in latino. Il provvedimento viene incontro alle richieste dei tradizionalisti di celebrare messa secondo il messale di san Pio V (emendato da Giovanni XIII), ma non manca, in questo passaggio, di stigmatizzarne alcuni eccessi e prese di posizione.

«La vostra carità e prudenza pastorale - aggiunge il Papa rivolgendosi ai vescovi - sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell`uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda».

Quanto agli scismatici lefebrviani, «tutti sappiamo - scrive il Papa sottolineando le divergenze di fondo - che, nel movimento guidato dall`Arcivescovo Lefebvre, la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno; le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità».

Benedetto XVI ricorda anche quando Giovanni Paolo II voleva «aiutare soprattutto la Fraternità San Pio X (di Lefebvre, ndr.) a ritrovare la piena unità con il Successore di Pietro, cercando di guarire una ferita sentita sempre più dolorosamente. Purtroppo questa riconciliazione finora non è riuscita».

Il senso del Motu proprio, ad ogni modo, per il Papa è di riconciliare le diverse posizioni all’interno della Chiesa: «Non c`è nessuna contraddizione tra l`una e l`altra edizione del Missale Romanum», quella pre-conciliare e quella riformata. «Nella storia della Liturgia c`è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso».

«Si tratta di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa», scrive ancora Benedetto XVI. «Guardando al passato, alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si ha continuamente l`impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l`unità; si ha l`impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare. Questo sguardo al passato oggi ci impone un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell`unità, sia reso possibile di restare in quest`unità o di ritrovarla nuovamente».

LA STAMPA

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Ratzinger liberalizza la messa in latino Pubblicato il motu proprio «Summarum Pontificum» che ne permette l'uso secondo il rito anteriore alla riforma liturgica STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
CITTÀ DEL VATICANO - Ratzinger liberalizza la messa in latino. Bendetto XVI ha infatti pubblicato il motu proprio «Summarum Pontificum» che permette l'uso della messa in latino secondo il rito anteriore alla riforma liturgica, in via ordinaria e senza richiesta al vescovo. Il documento entra in vigore il prossimo 14 settembre. Il rito antico è permesso, non imposto, e la liturgia ordinaria della Chiesa resta quella conciliare. Ai vescovi resta il controllo sull'applicazione delle norme e fra tre anni dovranno riferire al Papa su eventuali difficoltà. «È infondato il timore» che con la liberalizzazione della messa in latino anteriore al 1970 «venga messa in dubbio» la «riforma liturgica» o la «autorità del Concilio». Lo spiega il Papa nella lettera ai vescovi con la quale accompagna il motu proprio sulla messa in latino. Il rito antico, precisa, «non fu mai giuridicamente abolito» e «in linea di principio restò sempre permesso».
«PER CONCILIARE» - Il Papa ha deciso il motu proprio che liberalizza la messa in latino spinto dalla «ragione positiva» di «giungere a una riconciliazione interna nel seno della Chiesa». Nelle «divisioni del passato» non sempre, osserva, «i responsabili della Chiesa» hanno «fatto il sufficiente per conservare o conquistare l'unità». Lo afferma nella lettera con cui presenta il motu proprio ai vescovi di tutto il mondo. La liberalizzazione della messa in latino secondo l'antico rito di San Pio V non è destinata a provocare spaccature nella Chiesa, in quanto presuppone «una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l'una che l'altra non si trovano tanto di frequente» afferma Benedetto XVI nella lettera a tutti i vescovi del mondo nella quale spiega le ragioni che lo hanno indotto a liberalizzare la messa in latino secondo l'antico rito.
DUE FORME Il motu proprio voluto da Benedetto XVI stabilisce che la messa potrà essere celebrata in due forme: ordinaria, che segue la riforma liturgica di Paolo VI del '70, che può essere usata sempre e dappertutto, in latino e nelle diverse edizioni volgari; straordinaria, che viene celebrata secondo i libri liturgici editi da Giovanni XXIII nel '62, sempre in latino. Se finora serviva un «indulto» del vescovo per autorizzare la forma straordinaria, dal 14 settembre - data in cui entrerà in vigore il motu proprio - il parroco potrà autorizzare la messa; resterà ai vescovi il compito di vigilare sull'applicazione, di segnalare eventuali difficoltà alla commissione vaticana «Ecclesia Dei» e, tra tre anni, di fare rapporto alla Santa Sede sull'applicazione di queste norme. Il parroco che lo riterrà necessario potrà organizzare una «parrocchia personale» per le messe con rito straordinario, se ci sia un numero consistente di fedeli che lo desiderino. «Nelle parrocchie in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962», si afferma nell'articolo 5 del motu proprio di Benedetto XVI che liberalizza la messa secondo il rituale di San Pio V diffuso oggi dalla Sala stampa vaticana.
COMPIACIUTI I LEFEBVRIANI - Compiacimento e «viva gratitudine», senza però trascurare «le difficoltà che ancora sussistono». Così i seguaci dell'arcivescovo Marcel Lefebvre accolgono il motu proprio «Summorum Pontificum» con cui Benedetto XVI ha ristabilito nei suoi diritti la messa tridentina. Primo fra i nodi da sciogliere nel rapporto tra Roma e la Fraternità sacerdotale San Pio X la scomunica nei confronti di vescovi lefebvriani, il cui ritiro è considerata condizione essenziale.
07 luglio 2007


IL CORRIERE DELLA SERA

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Raimundus
view post Posted on 8/7/2007, 18:25     +1   -1




Su Enzo Bianchi e monsignor Brandolini
Di Rodari (del 08/07/2007 @ 13:07:21, in Pensieri sparsi, linkato 14 volte)

http://www.palazzoapostolico.it/dblog/


A leggere Repubblica quest'oggi c'è da ridere parecchio.Il giorno dopo la pubblicazione del Motu Proprio papale col quale si liberalizza il Messale di San Pio V rivisto da papa Giovanni XXIII nel 1962, ecco Enzo Bianchi e monsignor Brandolini (primate di Bose il primo, vescovo di Sora-Aquino Pontecorso e responsabile della liturgia della Cei!!!il secondo) che si prodigano a dire che loro stimano Ratzinger e gli vogliono pure un gran bene.Però, c'è un però.Però, nonostante il papa abbia detto che il Motu Proprio serva a unire la Chiesa, per loro il giorno dopo la liberalizzazione dell'antico Messale è "un giorno di lutto" (Brandolini) perché il rischio che il soggettivismo - un Chiesa fai da te in cui ognuno celebra come vuole - avanzi è reale (Bianchi), etc etc...Io, sia chiaro, non sono un ultrà-tradizionalista-conservatore-lefebvriano (tanto per usare il tono caro a Enzo Bianchi quando parla di coloro che amano l'antico rito), ma ritengo semplicemente che consentire senza restrizioni a chi lo desidera la possibilità di celebrare la liturgia antica (per altro MAI abolita) in quanto essa corrisponde alla sensibilità di molti (o alcuni, il numero non è importante) cattolici, non sia necessariamente una crociata contro coloro che hanno un'altra sensibiltà, non sia necessariamente una decisione recepita dai cosidetti "tradizionalisti" come una rivincita contro gli infedeli della lettura intramondana del Vaticano II (può anche essere che in alcune persone sia così, ma anche tra gli "infedeli" che leggono il Vaticano II in modo ultramondano ce ne sono di alcuni parecchio intolleranti verso i "tradizionalisti") ma sia più semplicemente la giusta risposta data a coloro che non capivano come mai una liturgia in vigore da secoli di colpo dovesse essere affossata.E' così difficile da capire?E poi, chi divide maggiormente la Chiesa: chi è contento di poter celebrare con l'antico rito o chi dice di essere vicino al papa e di "volergli bene" ma nello stesso tempo sostiene di non approvare, sulla base di dubbi di fatto ancora non verificatisi, quanto egli decide?



La messa in latino unisce i fedeli»

di Andrea Tornielli

.... Con una punta di ironia, lo stesso Ratzinger tranquillizza tutti spiegando che l’antico rito «presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina» che «non si trovano tanto di frequente». A nessuno sarà imposto o impedito alcunché, verrà soltanto impedito di impedire la celebrazione secondo il rito antico.

...

Diciamola tutta: i veri «ispiratori» inconsapevoli del Motu proprio sono quei vescovi i quali negli ultimi anni, disattendendo la richiesta di Giovanni Paolo II che li aveva invitati ad essere generosi nell’autorizzare la vecchia messa, hanno opposto rifiuti e in diversi casi non hanno nemmeno voluto parlare con questi fedeli. Salvo poi concedere, magari, le chiese della diocesi ai «fratelli separati» dell’ortodossia o ai protestanti, incuranti però di quei fratelli «uniti» nella fede anche se portatori di una diversa sensibilità liturgica.

Il Giornale, 8 luglio 2007
 
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Raimundus
view post Posted on 8/7/2007, 23:03     +1   -1




una pagina web ( http://www.latunicastracciata.net/agimusti...dex.php?lang=it ), che contiene un modulo che si può compilare in pochi secondi, e che permette di inviare un breve messaggio di ringraziamento al Papa e a chi ha collaborato con Lui alla stesura di questo documento epocale
 
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Raimundus
view post Posted on 9/7/2007, 20:27     +1   -1




Il Cardinale Karl Lehmann, Presidente della Conferenza episcopale tedesca, ha detto che la pubblicazione del Motu proprio Summorum Pontificum, che disciplina l’uso liturgico del Messale Romano del 1962, rappresenta una tappa importante per la Chiesa.

Durante una conferenza stampa tenuta a Monaco di Baviera il 7 luglio, il porporato si è detto “assolutamente convinto che si tratti di un passo positivo per tutti coloro che amano questo tipo di Messa e che non vogliono essere accantonati in un angolo come se appartenessero ad una setta e come se facessero qualcosa di anormale”.

“Non è giusto mettere in negativo un tipo di Messa che nella Chiesa è stata utilizzata per secoli. Chi ha cercato di farlo e parla di rottura in questo senso, in realtà non ha capito nulla”, ha aggiunto, secondo un comunicato diffuso dall'episcopato cattolico.

Il documento papale che non disconosce il Concilio Vaticano II né pone in dubbio la riforma liturgica del 1970, amplia ulteriormente la possibilità di celebrare la Santa Messa in latino e di amministrare i Sacramenti secondo il rituale antico contemplato nel Messale Romano edito dal Beato Giovanni XXIII nel 1962.

Nell’esporre il punto di vista della Chiesa in Germania circa il Motu proprio di Benedetto XVI, il Cardinale ha detto che “non esiste una rottura, come certi dicono. Non esiste un fosso tra ‘l’ante-conciliare’ ed il ‘post-conciliare’. Esiste invece una continuità nell’evoluzione di cui però spesso non è dato conto”.

“Credo che questo tipo di Messa sia sempre stata parte della Chiesa, e quindi fa parte anche della mia vita – ha sottolineato . E’ vero anche che da giovane sacerdote in essa ho costruito la mia devozione per l’Eucaristia. Non l’ho mai percepita come un qualcosa di estraneo”.

“Devo però anche dire che nei miei quasi 25 anni da Vescovo ho sempre potuto constatare come, al di là di alcuni abusi, la riforma liturgica si possa considerare un’opera riuscita. C’è anche molto rispetto, le comunità l’hanno accettata di buon grado”, ha commentato.

In Germania, ha continuato il porporato, come in altre diocesi del mondo, diversi gruppi hanno fatto da tempo richiesta di poter celebrare la Messa in Latino secondo l’antica forma liturgica.

“Le cifre - senza volerci giocare o addirittura fare politica - le cifre dei cristiani, dei cattolici, che si sentono vicini alle forme tradizionali non sono poi cosi alte – ha continuato – . Ovviamente, ci sono anche persone che vi aderiscono per varie e diverse ragioni”.

“Se poi teniamo conto del fatto che nell’ultimo anno abbiamo offerto possibilità di celebrare la Messa tradizionale, forse non in modo adeguato ma pur sempre sufficiente, penso che l’atmosfera non dovrebbe essere poi troppo agitata”, ha osservato.

“Spero che da entrambe le parti si riesca ad orientare le ‘teste calde’ verso una posizione più moderata”, ha detto.

“Questo, comunque – ha concluso –, è ciò che vuole il Papa”, che nella lettera di presentazione al Motu Proprio, indirizzata a tutti i Vescovi del mondo, ha parlato del suo desiderio di giungere a una “riconciliazione interna nel seno della Chiesa”.
 
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Raimundus
view post Posted on 9/7/2007, 21:12     +1   -1




La Messa precedente il Concilio

Sollecitudine per l'unità della Chiesa


Camillo Ruini

Dieci giorni fa, al termine dell'incontro dedicato al Motu proprio sull'uso della liturgia romana anteriore al Concilio Vaticano II, Benedetto XVI ha voluto illustrare personalmente i motivi che lo hanno mosso a promulgare questo testo.
Come primo e principale di tali motivi il Papa ha indicato la sollecitudine per l'unità della Chiesa, unità che sussiste non solo nello spazio ma anche nel tempo e che non è compatibile con fratture e contrapposizioni tra le diverse fasi del suo sviluppo storico. Papa Benedetto ha ripreso cioè il contenuto centrale del suo discorso del 22 dicembre 2005 alla Curia Romana nel quale, a 40 anni dal Concilio, ha proposto come chiave di interpretazione del Vaticano II non «l'ermeneutica della discontinuità e della rottura», bensì quella «della riforma, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa». Egli non fa valere così un suo personale punto di vista o una sua preferenza teologica, ma adempie il compito essenziale del successore di Pietro che, come dice il Concilio stesso (Lumen gentium, n.23), «è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell'unità sia dei Vescovi sia della moltitudine dei fedeli».
Allo stesso modo, nella lettera ai Vescovi con cui accompagna e mette nelle loro mani il Motu proprio, Papa Benedetto scrive che la ragione positiva che lo ha indotto a pubblicarlo è quella di giungere ad una riconciliazione interna nel seno della Chiesa: egli ricorda espressamente come, guardando alle divisioni che nel corso dei secoli hanno lacerato il Corpo di Cristo, si abbia «continuamente l'impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava maturando, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l'unità». Da qui deriva per noi «un obbligo: fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell'unità, sia reso possibile di restare in quest'unità o di ritrovarla nuovamente».
Sol o ponendosi su questa lunghezza d'onda si può cogliere davvero il senso del Motu proprio e si può metterlo in pratica in maniera positiva e feconda. In realtà, come il Papa ha spiegato abbondantemente nella sua lettera, non è fondato il timore che venga intaccata l'autorità del Concilio e messa in dubbio la riforma liturgica, o che venga sconfessata l'opera di Paolo VI e Giovanni Paolo II. Il Messale di Paolo VI rimane infatti la «forma normale» e «ordinaria» della liturgia eucaristica, mentre il Messale romano anteriore al Concilio può essere usato come «forma straordinaria»: non si tratta, precisa il Papa, di «due Riti», ma di un duplice uso dell'unico e medesimo Rito romano. Giovanni Paolo II, inoltre, già nel 1984 e poi nel 1988, aveva consentito l'uso del Messale anteriore al Concilio, per le medesime ragioni che muovono ora Benedetto XVI a fare un passo ulteriore in questa direzione.
Tale passo ulteriore non è del resto a senso unico. Esso richiede una volontà costruttiva, e una condivisione sincera dell'intenzione che ha guidato Benedetto XVI, non solo a quella larghissima maggioranza dei sacerdoti e dei fedeli che si trovano a proprio agio con la riforma liturgica seguita al Vaticano II, ma anche a coloro che rimangono profondamente attaccati alla forma precedente del Rito romano. In concreto, ai primi è richiesto di non indulgere nelle celebrazioni a quegli arbitri che purtroppo non sono mancati e che oscurano la ricchezza spirituale e la profondità teologica del Messale di Paolo VI. Ai secondi è richiesto di non escludere per principio la celebrazione secondo questo nuovo Messale, manifestando così concretamente la propria accoglienza del Concilio. In tal modo si eviterà il rischio che un Motu proprio emanato per unire maggiormente la comunità cristiana sia invece utilizzato per dividerla.
Nella sua lettera il Papa, rivolgendosi ai Vescovi, sottolinea che queste nuove norme «non diminuiscono in alcun modo» la loro autorità e responsabilità sulla liturgi a e sulla pastorale dei propri fedeli: come insegna il Vaticano II (Sacrosanctum Concilium, n.22), ogni Vescovo è infatti «il moderatore della liturgia nella propria diocesi», in comunione con il Papa e sotto la sua autorità. Anche questo è un criterio di primaria importanza perché il Motu proprio possa portare quei frutti di bene per i quali è stato scritto.


AVVENIRE
 
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Raimundus
view post Posted on 10/7/2007, 00:01     +1   -1




LE IDEE

Se il messale è una bandiera

ENZO BIANCHI*

Molto atteso dai pochissimi cattolici "tradizionalisti" e molto temuto dai vescovi e dalle chiese locali, è stato promulgato, dopo molte dilazioni indicatrici di incertezze, il "motu proprio" Summorum Pontificum che "liberalizza" il rito della messa vigente prima della riforma liturgica. Preconizzato da più di un anno, ha destato grandi preoccupazioni e ha acceso un dibattito di grande qualità.
conferenze episcopali, singoli vescovi, teologi e liturgisti hanno analizzato con spirito di pace e volontà di riconciliazione con i tradizionalisti scismatici i problemi e le derive che potrebbero inoculare contrapposizioni e ulteriori divisioni tra i cattolici. Sì, perché in questi quarant´anni del post-concilio, le chiese hanno percorso un lungo cammino, spesso faticoso, nell´attuazione della riforma liturgica, hanno registrato anche qua e là abusi e contraddizioni allo spirito dell´autentica liturgia cattolica ma, come ha affermato Giovanni Paolo II nel 1988, «questo lavoro è stato fatto sotto la guida del principio conciliare: fedeltà alla tradizione e apertura al legittimo progresso; perciò si può dire che la riforma liturgica è strettamente tradizionale, "secondo i santi padri"» (XXV annus n. 4). Di conseguenza, nel chiarire le possibilità offerte ai tradizionalisti Giovanni Paolo II precisava che «la concessione dell´indulto non è per cercare di mettere un freno all´applicazione della riforma intrapresa dopo il concilio »(Udienza generale del 28.9.1990).
Noi cattolici, ma per la convinzione profonda che il vescovo di Roma è il servo della comunione ecclesiale, obbediamo anche a prezzo di fatica, di sofferenza e di non piena comprensione di ciò che ci vien chiesto autorevolmente e che non contraddice il vangelo: siamo anche capaci di obbedienza pur dissentendo lealmente e con pieno rispetto. Questa obbedienza che vuole essere evangelica e "in ecclesia", richiede che ci esercitiamo a pensare e riflettere per capire maggiormente e per animare la comunicazione in vista di una comunione matura e salda, per fare di tutto affinché la chiesa non soffra di disordine e di ulteriori contrapposizioni: chi ha un vero sensus ecclesiae questo soprattutto teme!
Dunque questo "motu proprio" deve essere accolto come un atto di Benedetto XVI teso a metter fine allo scisma aperto dai lefebvriani e alla "sofferenza" di altri pur restati in comunione con Roma. Il papa è consapevole che più passano gli anni, più le posizioni si induriscono, più ci si abitua allo scisma e si affievolisce il desiderio di una reciproca riconciliazione tra chiesa e scismatici. Per questo il papa autorizza con liberalità la celebrazione della messa conformemente al messale detto di Pio V. Si esce così dall´indulto concesso da Giovanni Paolo II, perché allora si dava la possibilità di celebrare la messa detta di Pio V se il vescovo lo permetteva, mentre ora vi è la possibilità di celebrarla e il vescovo non può proibirla. Non è più dunque "eccezionale" ma "straordinaria", non è più una deroga alle regole ma permessa dalle regole.
Ma per chi è stata promulgata questa nuova legislazione? La risposta non è semplice perché quanti chiedono la possibilità di praticare il messale di Pio V sono una galassia numericamente ridotta ma molto variegata. In tutto il mondo questi cattolici con sensibilità tridentina sono circa 300.000 con circa 450 preti, sul totale di un miliardo e 200 milioni di cattolici, e di essi circa la metà appartiene alla porzione scismatica dei seguaci di mons. Lefebvre. Nel "motu proprio" si pensa certo a questi ultimi – per quali, afferma la lettera, "la fedeltà al messale antico divenne un contrassegno esterno" – ma c´è attenzione soprattutto ai tradizionalisti in comunione con Roma, quelli legati al rito diventato per loro familiare fin dall´infanzia.
Accanto a questi cattolici, scismatici o no, all´orizzonte affiorano anche giovani preti che vorrebbero ritornare all´antico rito e alcuni movimenti ecclesiali che auspicano una ripresa di un´identità fondamentalista cattolica; vi è poi un´appariscente deriva di confraternite e ordini cavallereschi vari che attendono di poter celebrare in latino per rinvigorire il loro folklore e ridare lustro alle loro livree medievali.
Ma qui sorge una serie di domande che esigono una risposta evangelica e una responsabilità conforme al sensus ecclesiae da parte di tutti: vescovi, presbiteri, fedeli cattolici. Non è che questi gruppi si nascondano dietro i veli della ritualità post-tridentina per non accogliere altre realtà assunte oggi dalla chiesa, soprattutto attraverso il concilio? Il messale di Pio V non rischia di essere il portavoce di rivendicazioni di una situazione ecclesiale e sociale che oggi non esiste più? La messa di Pio V non è per molti una messa identitaria, preferenziale e dunque preferita rispetto a quella celebrata dagli altri fratelli, come se la liturgia di Paolo VI fosse mancante di elementi essenziali alla fede? C´è oggi troppa ricerca di segni identitari, troppo gusto per le cose "all´antica", soprattutto in certi intellettuali che si dicono non cattolici e non credenti e misconoscono il mistero liturgico. E ancora, perché alcuni giovani che non sono nati nell´epoca post-tridentina e non hanno mai praticato come loro messa "nativa" quella pre-conciliare, vogliono un messale sconosciuto? Cercano forse un messale lontano dal cuore ma praticato dalle labbra? E se la celebrazione della messa risponde alle sensibilità, ai gusti personali, allora nella chiesa non regna più l´ordo oggettivo, ma ci si abbandona a scelte soggettive dettate da emozioni del momento. Non c´è forse il rischio, in questo soggettivismo, di incoraggiare ciò che Benedetto XVI denuncia come obbedienza alla "dittatura del relativismo"?
E perché coloro che chiedono il rito di Pio V si sentono i "salvatori della chiesa romana"? Salvatori rispetto a cosa? A un concilio ecumenico presieduto dal vescovo di Roma? Perché assicurano: «Vinceremo... tutta la chiesa tornerà all´antica liturgia!»? Questo non è un cammino di riconciliazione e di comunione, ma di rivincita, di condanna dell´altro, di rifiuto di riconoscere le colpe rispettive... Sì, c´è il timore che si risvegli nella chiesa una serie di rapporti di forza in cui c´è chi perde e chi guadagna. Ma questo risponde più a un´ottica mondana che a un´ottica evangelica!
Ogni cattolico – anche chi come me può testimoniare con gioia per averlo a lungo praticato che il messale di Pio V lo ha fatto crescere nella fede, nell´intelligenza eucaristica e nella vita spirituale e lo sente come un monumento liturgico, un´architettura rituale capace di far vivere la comunione diacronica di tutta la chiesa – deve interrogarsi per non lasciare spazio a forme di idolatria e, con il cardinale Ratzinger, «ammettere che la celebrazione dell´antica liturgia si era troppo smarrita nello spazio dell´individualismo e del privato e che la comunione tra presbitero e fedeli era insufficiente». Sì, nessun idealismo né sul messale né sulla sua pratica e non sia un messale a far guerra all´altro messale, perché così si sfascia la chiesa.
Mons. Fellay (il successore di Lefebvre alla guida della Fraternità San Pio X) ha dichiarato che «la liberalizzazione del messale di Pio V provocherà una guerra nella chiesa con una deflagrazione pari a quella della bomba atomica». Sono parole gravi, ma che ci fanno restare vigilanti! Benedetto XVI scrive nella lettera che d´ora innanzi non ci sono due riti ma "un uso duplice dell´unico e medesimo rito" e tuttavia non si possono tacere le differenze: tra un "uso" e l´altro ci saranno letture bibliche sempre diverse, si vivranno i tempi liturgici in modo diverso, con feste del Signore e dei santi in date diverse; con il messale di Pio V si sarà autorizzati a pregare in modo non conforme all´insegnamento ecumenico del Vaticano II, così si pregherà per «eretici e scismatici perché il Signore li strappi da tutti i loro errori», mentre per gli ebrei si userà l´espressione «popolo accecato». Cosa significherà questo nei rapporti ecumenici con le chiese e con gli ebrei?
Sì, verificheremo cosa accadrà nella chiesa e come crescerà o sarà contraddetta la comunione. Sarà determinante l´azione dei vescovi, ai quali "spetta salvaguardare l´unità concorde, vissuta nelle celebrazioni della diocesi" (Sacr. Car. 39). La stragrande maggioranza dei vescovi e intere conferenze episcopali nazionali e regionali, anche italiane, hanno manifestato la loro opposizione a questo provvedimento, ma ora nell´obbedienza e per amore della chiesa dovranno discernere come compaginare la comunione che è sempre innanzitutto comunione liturgica. I vescovi non smettano di chiedere a quanti vogliono praticare la messa di Pio V un´accettazione del concilio e della sua riforma liturgica come legittima e conforme alla verità e alla tradizione cattolica: le espressioni possono essere diverse, ma uno è il vescovo e il presbiterio attorno a lui. L´unità non può essere realizzata a qualsiasi prezzo, né a prescindere dall´autorità del vescovo in comunione con il papa. Il viaggio della barca della chiesa non è ancora giunto al suo termine e nessun porto può diventare una meta, ma solo un luogo di sosta e di transito: anche il messale di Pio V, anche quello di Paolo VI... C´è ancora un altro domani anche per la forma della liturgia.

*L´autore è priore della comunità monastica di Bose

© Copyright Repubblica, 8 luglio 2007


ORRORE E DISGUSTO PER LE ARGOMENTAZIONI DEL BIANCHI
 
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emmanuele brambilla
view post Posted on 10/7/2007, 09:47     +1   -1




L'ineffabile Enzino Bianchi, che nel suo "Martirologio Ecumenico" alla data odierna si premura di ricordarci quel gran personaggio che porta il nome di Guglielmo III d'Orange, devastatore dell'Irlanda, nonché ispiratore di quegli allegri simpaticoni con la bombetta che si divertono a sbeffeggiare i cattolici irlandesi con il loro "Protestant Pride", è così riuscito a declassare il titolo di Pio V da "San" a "Sig."!
 
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Raimundus
view post Posted on 10/7/2007, 10:33     +1   -1




Enzino? personaggio dalle idee perniciose
 
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Guido Ferro Canale
view post Posted on 10/7/2007, 14:58     +1   -1




Mai capito a che serva Bose.

Guido
 
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Raimundus
view post Posted on 10/7/2007, 15:09     +1   -1




Ad incensare Bianchi
 
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Guido Ferro Canale
view post Posted on 10/7/2007, 16:34     +1   -1




Ovviamente il m.p. mi riempie di gioia, ma...
Il problema della S. Pietro: almeno per gli istituti dell'Ecclesia Dei si poteva sancire il biritualismo, magari attenuato; in alternativa si sarebbe dovuta disciplinare bene la possibilità di celebrare con il NO.
Il problema delle garanzie: non ho visto obblighi stretti da nessuna parte, solo espressioni come "conceda volentieri".
Ho paura che le vie dei Sacri Tribunali possano restare precluse.
Scusate la fretta, mi spengono il PC.

Guido
 
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Raimundus
view post Posted on 10/7/2007, 16:37     +1   -1




Una Chiesa senza compromessi


di Gianni Baget Bozzo - martedì 10 luglio 2007

La decisione del Papa di riconoscere la messa di San Pio V come la formula straordinaria del rito romano, che esiste in forma ordinaria nella messa di Paolo VI, farà certamente discutere. Una opinione diffusa nella Chiesa a tutti i livelli ha pensato che il Vaticano II fosse una radicale reinterpretazione della dottrina cattolica, ripensata come compromesso con la modernità. È quello che Jaques Maritain definì come un «inginocchiamento innanzi al mondo». La Chiesa veniva intesa come immanente alla storia e come reincarnantesi nei vari tempi, quindi storicamente diversa da tempo a tempo.

L’essenza della Chiesa è di essere nello spazio e nel tempo e quindi doveva variare secondo gli spazi e secondo i tempi. Ciò avveniva ai tempi in cui si parlava di inculturazione cioè la tesi che la Chiesa potesse rendersi presente nelle categorie di tutte le culture omogeneamente ad esse.

Ratzinger ha pensato la Chiesa all’interno della teologia dei Padri e l’ha vista come «comunione alla vita divina», come afferma la seconda lettera di Pietro, e quindi portatrice in una identità dottrinale che ne comanda il linguaggio nei tempi e negli spazi in funzione di una rivelazione in cui Dio rende l’uomo partecipe del suo mistero increato, quindi metatemporale e metaspaziale.

Se Ratzinger ha accettato di dedicare la sua vita alla Congregazione per la dottrina della fede è perché intendeva che il Papato sussiste in quanto esiste un’unità di linguaggio metaspaziale e metatemporale. La Chiesa è una realtà divino umana, partecipe nello Spirito Santo al mistero di Cristo. Ciò non consente la sua trascrizione in tutte le culture senza togliere al primato romano la funzione. Il primato di Pietro esiste solo se esiste una verità oltre i tempi e gli spazi, di cui la prima espressione è la continuità della liturgia cattolica.

L’unità dogmatica si fonda sull’unità liturgica. Per questo pensare che una liturgia usata per tanti secoli dalla Chiesa possa essere cancellata dalla nuova liturgia può avvenire solo sul principio della inculturazione della Chiesa nella modernità occidentale. Subendo largamente l’influenza del grande mito moderno, la storia del marxismo. Non a caso Ratzinger fu per questo contrario alla teologia della liberazione: perché essa faceva della inculturazione di una Chiesa nell’America latina il fondamento della sua teologia.

Se la liturgia antica era cassata e di fatto proibita, diveniva inevitabile che anche il primato romano fosse messo in discussione perché non conforme alla cultura propria dell’età moderna. Fu il Papato da Paolo VI a Giovanni Paolo II a difendere la Chiesa dalla dottrina dell’inculturazione, fatta propria, in modo particolare, dalla Compagnia di Gesù. Papa Benedetto ha seguito da segretario della Congregazione per la dottrina della fede, la linea di Giovanni Paolo II, che lasciava aperte le possibilità della tesi dell’inculturazione assumendo a livello politico e mediatico molte conseguenze di essa cominciando dall’antioccidentalismo e dal pacifismo. Papa Benedetto ha posto ai vescovi la questione fondamentale: il Papato può continuare ad esistere solo se il linguaggio ecclesiale comunica alla verità di Dio in sé stessa e non è semplicemente un adattamento culturale che rende relativa la Chiesa soltanto alla storia e alla geografia. Papa Benedetto ha dunque posto il problema sul fatto che la liturgia antica non può essere cancellata senza porre in discussione la continuità della Chiesa nei tempi e negli spazi, cioè la sua comunicazione allo Spirito Santo nel mistero di Cristo.

Vi è dunque ben più di Ecône nel principio dell’identità della Chiesa nella sua liturgia tradizionale e in quella riformata da Paolo VI. Il Papa ha voluto che il rito antico fosse praticabile non solo nella messa (come era avvenuto con i poteri conferiti ai vescovi con l’Ecclesia Dei) ma che riguardasse tutti i sacramenti e potesse essere detto in modo ordinario nella comunità che sceglievano e adottarlo come tale. E venivano perciò testimoni dell’identità della Chiesa nella sua liturgia oltre i tempi e gli spazi. Certamente in modo proprio si scontrerà con difficoltà notevoli non per il fatto della messa latina, ma per il fatto che la riforma di Benedetto mette in luce che il primato romano esiste solo se la Chiesa parla un linguaggio che si fonda sulla realtà divina rivelata e non sul variare della storia umana. Il provvedimento particolare del motu proprio ha un significato universale perché intende mantenere l’universalità della Chiesa e la funzione del Papato come garante della comunione dell’istituzione al mistero divino.


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TotusTuus
view post Posted on 10/7/2007, 18:42     +1   -1




CITAZIONE (Guido Ferro Canale @ 10/7/2007, 17:34)
Ovviamente il m.p. mi riempie di gioia, ma...
Il problema della S. Pietro: almeno per gli istituti dell'Ecclesia Dei si poteva sancire il biritualismo, magari attenuato; in alternativa si sarebbe dovuta disciplinare bene la possibilità di celebrare con il NO.
Il problema delle garanzie: non ho visto obblighi stretti da nessuna parte, solo espressioni come "conceda volentieri".
Ho paura che le vie dei Sacri Tribunali possano restare precluse.
Scusate la fretta, mi spengono il PC.

Guido

Le costituzioni degli istituti Ecclesia Dei prevedono la celebrazione del rito di Paolo VI? Non credo affatto!
Le espressioni non vincolanti del tipo "conceda volentieri" siono frutto della strordinarietà del rito romano antico e dell'incoercibilità della libertà umana. Difatti un sacerdote non può essere obbligato a celebrare contro la propria volontà.
 
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242 replies since 6/7/2007, 23:40   3500 views
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